Architettura d’alta quota (II Parte)
Alla conquista delle cime con progetti che sfidano l’altitudine e tutte le sue impervietà climatiche e atmosferiche. Dopo i più recenti esempi, il dovuto omaggio agli storici rifugi di Charlotte de Perriand, Franco Albini e Carlo Mollino.
Solo un’autentica appassionata di montagna come Charlotte Perriand poteva “inventare”, già nel 1936, un rifugio mobile, concretizzatosi, due anni dopo, in quello passato alla storia come Refuge Tonneau, realizzato insieme a Pierre Jeanneret. Ricostruito da Cassina sulla base di schizzi e appunti originali in occasione della settimana del Salone del Mobile 2012 e ora presso la sede di Meda, il rifugio (3,80Ø x 3,92h m) soddisfa le esigenze di chi vive intensamente la montagna e necessita di un momento di ristoro. La struttura a dodecaedro è ispirata a una giostra per bambini fotografata in Croazia, mentre la forma di navicella spaziale e le finestre a oblò anticipano progetti realizzati decenni dopo, come le stazioni Concordia nell’Antartide del 2002 e la Mars Society Desert Research Station del 2011. Lo scheletro in alluminio è stato scelto per la leggerezza, la sagoma per non opporre resistenza ai venti, i sostegni a palafitta per conferire stabilità anche sui terreni più mossi e ripidi, l’apertura a bussola per proteggere dal freddo. Gli interni in abete sottolineano l’ambiente naturale e aumentano il senso di accoglienza. Ogni arredo, dalla stufa interna al tubo centrale, dalle sedute che si ribaltano diventando letti all’angolo cottura, fino al secchio con rubinetto sopra al lavello per sciogliere la neve in acqua corrente, esprime funzionalità coniugata a bellezza.
Un altro Maestro che affronta l’architettura alpina è Franco Albini. Insieme a Luigi Colombini, firma, tra il 1948 e il 1952, l’Albergo-rifugio per ragazzi Pirovano a Cervinia, situato su un ripido pendio. L’edificio – composto da una parte inferiore di tre piani, addossata alla montagna e parzialmente interrata, e da una parte superiore, completamente fuori terra, di due livelli – è un grande esempio di come l’architettura italiana della metà del Novecento abbia saputo intrecciare i temi della modernità con quelli dell’architettura tradizionale, attraverso l’impiego di materiali locali e la reinterpretazione di tecniche costruttive autoctone, come la blockbau, ovvero l’incastro angolare di tavoloni in larice opportunamente intagliati.
Negli anni ’50 il suo progetto originario era considerato un manifesto della sperimentazione di materiali e tecniche costruttive. Stiamo parlando di Casa Capriata, rifugio ecosostenibile in legno che Carlo Mollino mise a punto nel 1954 per la X Triennale di Milano, ma che a causa del mancato accordo tra gli sponsor non fu mai realizzato. L’iniziativa di dargli vita nasce come progetto culturale, in occasione delle celebrazioni della nascita dell’architetto torinese, poi diventa progetto di ricerca e realtà nel 2010 con il nome di Rifugio Carlo Mollino grazie ai ricercatori del Dipartimento di Architettura e Design del Politecnico di Torino sotto la guida del professore Guido Callegari, unitamente alla Comunità Montana Walser. Una “costruzione leggera in legno” sollevata dal suolo, eco delle architetture walser locali, si è concretizzata in un edificio sperimentale presso il comprensorio sciistico di Weissmatten, a Gressoney Saint Jean, nel quale gli aspetti architettonici, strutturali, tecnologici e impiantistici sono stati ripensati in coerenza con i criteri progettuali indicati da Mollino, dando vita a una struttura energeticamente efficiente, con componenti e sistemi edilizi innovativi in coerenza con l’edificio-manifesto originario. Grande attenzione è stata riservata agli interni, come la pavimentazione in gomma rispettata con un prodotto di Ettore Sottsass, mentre l’arredo è composto da mobili disegnati da Mollino provenienti dalla collezione Zanotta.
Per gli appassionati dell’alta quota, segnaliamo, fino al 21 giugno al Musée dauphinois di Grenoble la mostra Refuges alpins. De l'abri de fortune au tourisme d'altitude: un excursus attraverso duecento anni di architettura tra le cime più impervie.
Quale sarà il futuro dell’architettura in alta quota? Prosperoso e rispettoso, speriamo. Intanto la montagna, come ci suggerisce Reinhold Messner “viviamola in modo nuovo, facendo volare lo spirito al di sopra di ogni vetta”. E forse anche l’immaginazione continuerà a non avere limiti.