Artek. C’erano una volta 4 amici
Commercializzare mobili e promuovere una cultura e un modo di vivere moderni: il desiderata dei fondatori dell’azienda di Helsinki, che ha dato vita a 85 anni di arredi intramontabili.
di Marco Romanelli
Il 15 ottobre 1935, quattro amici fondarono un sogno che ancora oggi siamo liberi di vivere con l’intensità di un tempo. Nella remota Finlandia, Aino e Alvar Aalto, Marie Gullichsen e Nils-Gustav Hahl decisero di combinare arte e tecnologia (AR+TEK) per arrivare a una nuova sintesi culturale che potesse esprimersi non in manifesti programmatici, ma nella quotidianità dell’abitare. È, quindi, un nuovo modello abitativo quello che i quattro perseguono: un superamento della tradizione nazionale che sappia rinnovare senza strappi, nutrendosi, sempre e comunque, della straordinaria relazione con la natura che l’anima finlandese porta con sé. Ovviamente la matrice del sogno stava nell’organicismo architettonico di Alvar Aalto: Artek avrebbe dovuto semplicemente fornire a esso un “vocabolario” per raggiungere una sintesi coerente di architettura, interni e design.
Il primo negozio a Helsinki, in Fabianinkatu 31, non lontano dall’attuale in Keskuskatu 1B, aprirà i battenti il 1° marzo 1936 sotto la guida di Nils-Gustav Hahl, cui succedette, alla morte di Nils sul fronte, la stessa Aino Aalto, dal 1941 al 1949. Il concept proposto avrà un enorme e immediato successo (curioso segnalare come si abbia riscontro di copie e produzioni non autorizzate fin dal 1949). Il multistrato di betulla, le cinghie di cotone grezzo, i tessuti a grossa trama, il laminato bianco o nero creano un mood board (oggi si direbbe così) naturale e sensuale all’unisono. La dimensione tattile è vincente.
Molti dei pezzi Artek sono rimasti ininterrottamente in produzione dagli inizi degli anni ’30. Si veda, capolavoro tra i capolavori, la poltrona Paimio, disegnata nel 1931 per l’omonimo sanatorio, con la sua forte struttura in laminato di betulla curvato in cui si insinua la linea grafica del sedile in compensato continuo, verniciato bianco o nero. Un pezzo profondamente “umano”, ancor più se pensiamo come fosse stato ideato per un uomo malato, quindi fragile e insicuro.
Ugualmente in produzione dal 1933, ma disegnato in questo caso per la biblioteca di Viipuri, lo sgabello “60”: sovrapponibile e caratterizzato dalla piega a L delle gambe al di sotto del fondello di seduta. Un oggetto “minimo” (nel senso di minimale, termine che non possiamo ancora, a quella data, usare) e polifunzionale (è anche un agile tavolino). L’attacco piano-gamba diverrà la cifra stilistica, al contempo iconica e funzionale, ripresa più volte, vedi i tavoli, in occasione del raccordo di superfici orizzontali e verticali.
Alvar Aalto, lontano da certi dogmatismi tipici del Movimento Moderno, progetta mobili “reali”, ossia realmente producibili e quindi “per tutti”. Nel 1949 dichiara: “Il problema dei mobili di lusso e standard è stato risolto in modo da non produrre categorie diverse di mobili… Succede così che gli arredamenti di abitazioni lussuose e di semplici case per lavoratori sono realizzati con gli stessi materiali di base”. Questo l’intento alla base di Artek: giungere, attraverso la connessione tra tecnologia realizzativa e conoscenza del mercato, a una produzione che da un lato potesse essere realmente democratica (cosa che, ai tempi non riuscirà, ad esempio, ai mobili razionalisti in tubo metallico) e, dall’altro, “anti-volgare” (lo erano all’epoca le stanche repliche storicistiche) e “anti-élitaria”.
L’ottantacinquesimo compleanno di Artek non deve essere quindi solo un momento di ricordo e nostalgia, ma l’occasione per affermare principi metodologici e finalità di cui, mai come ora, il mondo del design ha bisogno.