The Edge Effect, la parola a Chiara Bardelli Nonino
Fino al 26 novembre da Marsèll Paradise la mostra curata da Chiara Bardelli Nonino e Jordan Anderson che racconta la trasformazione dell’identità italiana contemporanea attraverso le opere di 14 autori…
È un’affascinante mappatura del presente quella che propone la mostra The Edge Effect capace di dare un’immagine a fenomeni e forze di segno opposto apparentemente impossibile da visualizzare fuori dai cliché, come la tensione tra reale e virtuale, tra global e local, eppure nelle opere fotografiche, multimediali e di augmented reality emerge nitidamente una certa visione del presente nei lavori dei 14 autori chiamati a raccolta per esplorare nuove potenziali forme di comunità, identità e corpo ma anche nuove espressioni dell’immagine di moda. Kelly Costigliolo, Elena Cremona + Isabelle Landicho, Karim El Makta, Jon Emmony x Del Core, Sam Gregg + Riccardo, Maria Chiacchio Kamilia Kard, Rachele Maistrello, Andy Picci, Vashish Soobah, Karol Sudolski, Marzio Emilio Villa e Alba Zari sono i protagonisti di The Edge Effect con lavori realizzati con vari media e formati. A impostare l’impianto teorico di questa mostra i due curatori Chiara Bardelli Nonino, Visual Editor di Vogue Italia e de L’Uomo Vogue e curatrice del Photo Vogue Festival e Jordan Anderson, direttore creativo e giornalista di moda e cultura. Abbiamo chiesto a Chiara Bardelli Nonino di guidarci in questo percorso, e di raccontarci la sua genesi…
La premessa è che sono una maniaca di saggistica e podcast scientifici e un giorno parlando con Jordan di una cosa che avevo appena letto sull’edge effect (quel fenomeno ecologico per cui quando due ecosistemi si incontrano, si influenzano reciprocamente creando qualcosa di nuovo, con maggiore biodiversità) ci siamo resi conto che il concetto era quasi perfettamente applicabile a quello che stava accadendo, sotto ai nostri occhi, all’idea di identità e al senso di appartenenza della nostra generazione - sia che si parli di una comunità che di una nazione. E poi era da molto che volevamo fare qualcosa sull’altra faccia della cultural appropriation, cioè parlare del reciproco arricchimento che avviene quando due culture diverse s’incontrano in una situazione di scambio equa, alla pari. Abbiamo proposto l’idea a Marsèll perché ci sembrava in linea con il tipo di ricerca che stanno portando avanti da tempo e loro si sono dimostrati da subito entusiasti.
Principalmente ci sono due fenomeni con cui dobbiamo fare i conti: uno è la tensione tra realtà e sogno, che è sempre stata parte della fotografia di moda, ma che sembra non aver trovato un equilibrio nella produzione contemporanea. Da una parte ci si aspetta che la fashion photography risponda a tutta una serie di esigenze di inclusione, diversità, aderenza a un certo tipo di istanze sociopolitiche e di fedeltà rappresentativa della realtà a cui si riferisce, dall’altra deve tenere viva la parte aspirazionale, per sua natura elitaria ed esclusiva, e la capacità escapista, di creazione di desiderio, che spinge all’opposto di una rappresentazione della realtà 1:1. Il secondo fenomeno è la fruizione delle immagini di moda: gran parte degli artisti e degli editor continuano a pensarle come storie che verranno lette, sfogliate, ma la moda è ora un fenomeno culturale pop al pari di musica e cinema e arriva a un pubblico molto più vasto che in passato, in particolare tramite i social media, dove le immagini esistono scorporate, decontestualizzate e esperite in millesimi di secondo. Come produrre immagini che rimangano significative e rilevanti nella loro vita su diverse piattaforme è una delle problematiche più pressanti per un fotografo di moda oggi.
Il tema trattato dalla mostra, la nuova idea di identità contemporanea e l’identità stessa come lente condivisa per interpretare macrofenomeni sociali, è quasi onnipresente all’estero ma molto meno raccontato qua in Italia. Abbiamo deciso quindi di curare qualcosa che avesse a che fare con l’italianità in tutte le sue sfaccettature. Che questa caratteristica derivasse da un dato biografico, per scelta o eredità familiare, o da un rapporto di collaborazione come nel caso dei lavori di moda, volevamo comunque raccontare un’Italia che, nonostante l’assenza dal mainstream, nella nostra esperienza quotidiana esiste già da molto: multiculturale, aperta, impegnata, innovativa. Per questo abbiamo chiesto a Andy Picci di creare un’opera ad hoc che dice esattamente questo: il futuro è già accaduto. E questa mostra, spero, ne racconta un piccolo frammento.
Alcuni sono sicuramente esempi di post-photography, ma immagino che tutta la mostra potrebbe esistere sotto il grande cappello del post-internet, un po’ come tutti noi. Diciamo che sia la volontà di tornare alla materialità, alla tattilità della fotografia, a un ritmo e un’estetica analogica e dall’altra l’ibridazione di tecniche molto diverse, l'immaterialità e un’estetica prettamente virtuale sono risposte a una stessa esperienza collettiva dove l’online ormai straborda nel reale e viceversa, un mondo che è raccontato molto bene nel libro “The Extreme Self: Age of You”. Abbiamo tutti un “internet brain” ormai.
Sono sicuramente tematiche universali presenti da sempre nell’arte, ma viste con la lente della nostra generazione. I temi sono sempre quelli, ma la declinazione, interpretazione ed esecuzione sono inevitabilmente legate all’esperienza personale dell’artista, e gli artisti in mostra hanno vissuto a cavallo tra i due mondi: pre e post internet. Si ricordano ancora di un mondo “prima”, e vivono completamente immersi nel “dopo”. E tutto questo si riflette nei loro lavori.
È molto probabile che la pandemia, mentre spostava l’asse della nostra vita online, abbia acuito il nostro desiderio di contatto fisico ma penso che il tema del corpo sia strettamente legato al tema dell’identità, quindi si trova spesso al centro del lavoro degli artisti che trattano queste tematiche. Da una parte rivendicandone la tangibilità, il diritto a occupare lo spazio e a farlo con corpi diversi, a volte persino ibridi, mostruosi o fantastici. E in mostra vediamo un ampio spettro della rappresentazione del corpo, dall’attivismo attorno al corpo nero di Marzio Villa o Elena Cremona con Isabelle Landicho, al lavoro sul corpo femminile di Alba Zari e Kamilia Kard, fino ai glitch tridimensionali di Karol Sudolski.
The Edge Effect
Marsèll Paradise, Milano