Experiments in Living: il futuro dell’abitare
Dall’homo urbanus allo snowbirding, l’ultimo report di Interbrand cerca di raccontare come e dove viviamo, ma anche come i brand possano rispondere a tendenze ed esigenze dell’oggi e del domani
Nel suo ultimo report dedicato al tema dell’abitare, il cui sottotitolo è Experiments in Living, Interbrand esamina grazie all’Arena Dwell come sta cambiando il modo di vivere gli spazi. Secondo lo studio le aree in cui viviamo e lavoriamo diventano un insieme di valori, desideri e bisogni, luoghi che rappresentano significati e necessità specifiche.
Homo Urbanus
Alla base ci sono ovviamente gli spazi abitativi. Jonathan Reichental, autore di Smart Cities for Dummies, introducendo il concetto di quello che definisce “Homo Urbanus”, ci ricorda che secondo le previsioni entro il 2050 il 68% della popolazione mondiale vivrà in aree urbane. Il tema, come ormai ben sappiamo è rendere le città più vivibili e sostenibili per tutti, in vista di questo futuro prossimo. Perché, nonostante i vantaggi offerti dal tessuto urbano, Reichental ricorda che a livello biologico noi esseri umani non siamo fatti per far fronte all'inquinamento acustico, luminoso e ai vincoli fisici dell'abitare delle metropoli. Ad esempio, il riscaldamento globale causa un aumento delle temperature notturne ancora più rapido di quanto avvenga di giorno, rendendo difficile il riposo, soprattutto per chi vive in aree di forte inquinamento luminoso, fattore che incrementa del 6% la probabilità di dormire meno di sei ore a notte.
Necessità naturali
Il report porta ad esempio quelle che definisce “le città del futuro”, come Parigi, che punta a diventare la città più sostenibile d'Europa entro il 2030; Smart Forest City in Messico, che sarà ricoperta da oltre un milione di alberi e piante per contrastare le emissioni di CO2 o Biodivercity in Malesia, progetto di sviluppo urbano sostenibile che vuole fondere vivere urbano e natura. Il tema è quello della progettazione sensata, riassunto dalle parole di Neri Oxman, professoressa, artista e architetto del MIT, la quale chiede “un riallineamento radicale tra ambienti sviluppati e costruiti”, per trovare modelli in cui l'innaturale sembri più naturale. Partendo ad esempio dall’agricoltura urbana e dalle coltivazioni verticali, settore in cui nella sola prima metà del 2022 sono stati investiti oltre di 800 milioni di dollari: entro il 2030, riporta lo studio, l’agricoltura indoor potrebbe valere 33 miliardi di dollari. “Un adattamento ad un nuovo ambiente, come specie urbana”, lo definisce Jamiah Hargins, che nel suo cortile ha fondato Crop Swap, associazione di Los Angeles che combatte contro l’insicurezza alimentare coltivando nei cortili e negli spazi inutilizzati. Dalla necessità di rendere naturale l’innaturale, all’agricoltura urbana e di quartiere, si torna a casa, con l’idea di Freddie Blackett: Patch Plants, negozio online che punta a portare una pianta in ogni casa, profilando il consumatore in modo che il verde domestico si adatti agli spazi, ad un pollice più o meno verde, alle esigenze familiari. Continuando su questa strada, secondo Interbrand la risposta alle necessità del presente risiede in soluzioni che si adattino alle sfide del futuro, ad esempio viali alberati che proteggano i pedoni dal sole e rivestimenti sui tetti, che raffreddino l’ambiente e purifichino l’aria.
Abitare la fluidità
Lo studio introduce poi un altro concetto: i cambiamenti nell'economia globale e gli avanzamenti tecnologici, ma anche un cambio nelle strutture familiari e lavorative, hanno dato origine a una richiesta intergenerazionale di fluidità nel nostro modo di abitare. Anche geografica: che si chiami nomadismo, coabitazione o snowbirding [chi si sposta inseguendo l’estate per evitare del tutto la stagione invernale], ci sono fenomeni che riflettono il senso di intrappolamento che, secondo il Dwell Living Habits Study 2022 (indagine su cittadini di USA, Regno Unto, Brasile, India e Cina), riporta il 10% degli intervistati. Il che a sua volta si traduce in fluidità di vita in hotel e soggiorni prolungati fuori dall’abitazione principale, comunità per anziani in luoghi caldi, micro-case in movimento, comunità dinamiche di volontari per la rigenerazione della natura e per la riforestazione. Risposte diverse che hanno in comune una scelta: trovare strade inusuali per dare risposta a nuovi bisogni condivisi.
Le sfide
Si torna alla base, alla casa: secondo il report, la stragrande maggioranza di noi vuole che essa sia un luogo che soddisfi i nostri bisogni emotivi, ma la realtà spesso non è all'altezza. Reduci da una pandemia che ha portato alla chiusura di cinema, teatri e ristoranti e alla ridefinizione dello spazio domestico, 9 persone su 10 desiderano che la propria casa offra loro divertimento e svago, ma solo 5 su 10 ci riesce. L’emergenza ci ha spinti verso un aggiornamento multidimensionale, nel quale un numero crescente di noi ha iniziato a cucinare, fare ginnastica e lavorare da casa. Ma oggi si rivela l’altro lato della medaglia: il dover vivere uno spazio ridotto da fruire al tempo stesso come palestra, ufficio e lavanderia. Ma, passata l’emergenza, la sovrapposizione di scopi, prima di un reale significato, risulta frustrante. Inoltre, la crisi delle catene di approvvigionamento, unita al conflitto ucraino, rendono la spesa energetica di questi spazi multiscopo spesso non sostenibile a livello economico, oltre che ambientale.