Giovanna Silva “Milan. City, I listen to your heart”. Triennale Milano
Fino al 12 dicembre la scala brutalista della Triennale, a Milano, ospita circa mille immagini scattate dalla fotografa Giovanna Silva per comporre un ritratto sui generis della metropoli meneghina che sta uscendo da un periodo sui generis.
Per questa mostra l'allestimento è sostanza e intenzione: in uno spazio angusto, tortuoso, piegato alla preesistenza architettonica (e affascinante) ci imbattiamo in una proliferazione di fotografie stampate e appiccicate al muro secondo un criterio non gerarchico, a prima vista non organizzato, un rizoma di immagini. Alcune rimangono visibili soltanto da una certa altezza, altre sono rese parzialmente illeggibili perché appese dietro una schiera di tubi. In ogni caso l'affollamento spinge a ciò che supponiamo coincida con il concept dell'installazione: lasciare che l'occhio vaghi e si fermi quando è colpito oppure concentrarsi sull'insieme più che sul singolo pezzo. Presto ci accorgiamo che queste immagini, oltre alla provenienza dal perimetro urbano annunciato nel titolo, hanno altre caratteristiche ritornanti. Descrivono una città vuota, priva di persone, come post-olocausto. Ritagliano frammenti, sezioni. Pongono un discrimine mnemonico: chi abita Milano riconosce immediatamente i moduli architettonici di Giò Ponti o Caccia Dominioni, le scale dell'Arengario o i viali del Monumentale da un indizio senza bisogno dell'insieme. Chi non avesse familiarità con la città probabilmente porrebbe in atto nei confronti della mostra una fruizione formale, meno sentimentale e partecipe rispetto al gioco del riconoscimento che attiva una serie di memorie private.
Si dice che si tratta di foto raccolte lungo un anno di passeggiate compiute la mattina presto ma non si specifica l'anno. È impossibile non mettere in relazione la città deserta, spopolata, i negozi con le saracinesche abbassate, le strade vuote con l'anno della pandemia e del lockdown e la conseguente ridefinizione tellurica del rapporto con gli spazi, lo svuotamento fino al sottovuoto di quello urbano, il diradamento totale di quello interpersonale. Nella Milano di Giovanna Silva, il cuore che la fotografa ascolta potrebbe posizionarsi nei segnali di vita che, rari e spesso soltanto allusivi, spuntano nel deserto - una sensazione che tutti ricordiamo dai mesi di confinamento. Ecco quindi che i celebri "omenoni" che sostengono la facciata della casa omonima si caricano di una intensità ulteriore grazie alle fattezze antropomorfe che li fanno risaltare in mezzo alle linee astratte moderne e contemporanee degli altri edifici prediletti dalla fotografa - se non ci sono persone in carne e ossa, almeno che siano di pietra!; due lattine di birra vuote abbandonate su una balaustra e ricoperte dalla neve alludono a un incontro tra due persone; le scritte sui muri dicono di un'intenzione comunicativa e dialogica, anche quando sono surreali ("Acab / Stop scritte / Stop vandali / Prima i muri italiani"). Nel deserto del reale, come negli spazi interstellari, ogni segnale viene evidenziato e potenziato.
Se questa lettura è inevitabilmente influenzata dalla cronaca recente, troviamo nella serie un'altra intenzione astorica: l'idea compulsiva del catalogo delle forme in cui si manifesta una città - e una città specifica, ossia Milano. Una seconda interpretazione a proposito del suo "cuore" ci riporta al carattere vagamente iniziatico della mostra. Se solo un milanese per domicilio o frequentazione è in grado di riconoscere luoghi e palazzi da piccoli scorci e dettagli e se è vero che la mostra, nella sua impostazione rizomatica e vagante, trasmette un'impressione di armonia generale, allora è evidente che esistono caratteristiche identitarie di uno spazio urbano - oltre a quelle sociali, antropiche e così via - che hanno a che fare strettamente con l'architettura, con le soluzioni dei grandi architetti locali e le loro volgarizzazioni che si diffondono e specificano un luogo, con le figure, i ritmi, i materiali, le forme che diventano familiari. Questi caratteri nascono da intenzioni umane e rimangono presenti a testimoniarle anche quando l'uomo, momentaneamente, diserta la scena.