I Formafantasma raccontano Salone Raritas

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Formafantasma, Andrea Trimarchi e Simone Farresin, ph. Renee de Groot

Formafantasma, Andrea Trimarchi e Simone Farresin, ph. Renee de Groot

Dopo aver progettato lo spazio dedicato alle conferenze Arena “Drafting Futures”, la Biblioteca del Salone e il Bookstore Corraini, il duo creativo formato da Andrea Trimarchi e Simone Farresin firma l’allestimento della nuova “fiera nella fiera” dedicata alle cose rare. Ecco le loro anticipazioni

Il nome che Andrea Trimarchi e Simone Farresin hanno scelto per il loro studio fondato nel 2009 in Olanda, Formafantasma, racconta già da solo un’intenzione: concentrarsi sulla parte del progetto che non si vede. Si è trattato, cioè, e si tratta ancora oggi, di allargare lo sguardo ai processi di produzione e al contesto più ampio preoccupandosi di generare pensiero piuttosto che – o insieme ai – semplici prodotti. La forma non scompare, non si dissolve, ma rimane subordinata alla funzionalità e a logiche di altri natura, sociali, politiche o ambientali. Lo abbiamo visto in operazioni come Ore Streams (2017-2019), Cambio (2020) e Oltre Terra (2023), nate già da subito come ricerche di ampio respiro sul destino dei rifiuti elettronici e sulla produzione di materiali come il legno e la lana, ma anche nella progettazione di oggetti fisici e tangibili come le lampade SuperWire (2014), per Flos, con una striscia di LED che si può riparare o sostituire in caso di necessità come fonte luminosa, e nei numerosi allestimenti e progetti curatoriali seguiti negli ultimi anni, tanto raffinati sul piano estetico quanto intelligenti nel prendere in considerazione l’intero ciclo di vita dei materiali impiegati 

Nell’ultimo anno solare, solo in quest’ambito, il duo creativo ha curato i set delle mostre dedicate al movimento Shaker al Vitra Design Museum di Weil am Rhein e alla storia popolare italiana al MUCIV-Museo delle Civiltà di Roma, immaginando macchine sceniche capaci di tenere insieme le diverse sfaccettature dei temi trattati, messo in scena le opere dell’artista americano Mike Kelley all’interno di un labirinto di muri metallici (per la retrospettiva Ghost and Spirit al Moderna Museet di Stoccolma), ideato una performance teatrale con attori umani e non dedicata all’incontro-scontro tra modernismo ed ecologia (Staging Modernity, per Cassina durante l’ultima design week) e dialogato con Carlo Scarpa tornando a ragionare sul tema dell’impatto ambientale dell’elettronica con dei nuovi arredi-scultura che rappresentano la prosecuzione ideale del progetto Ore Streams nello storico negozio Olivetti di Piazza San Marco a Venezia. Il prossimo aprile, Studio Formafantasma firmerà l’allestimento di Salone Raritas – il percorso espositivo dedicato al design in edizione limitata e all’alta manifattura creativa del Salone del Mobile.Milano, curato da Annalisa Rosso, Editorial Director & Cultural Events Advisor – per il quale ha già progettato gli spazi dell’Arena “Drafting Futures”, la Biblioteca e il Bookshop Corraini. Andrea Trimarchi e Simone Farresin ci raccontano come hanno lavorato e come sarà questo nuovo spazio.

Qual è stata la sfida più grande in questo progetto? Come avete bilanciato la necessità di rispettare le peculiarità di ciascun espositore e il fatto di dover intervenire in un contesto omogeneo come quello fieristico?

La grande sfida di questo progetto è proprio che non si tratta di un allestimento museale ma di una fiera, con tutti i limiti e le possibilità del caso. Abbiamo cercato di lavorare con l’idea di costruire piattaforme più aperte in modo tale da sottolineare l’individualità delle gallerie mantenendo però un’atmosfera di comunicazione tra le diverse aree espositive. Per fare sì che l’outcome finale risulti più coeso è importante curare molto la cartella colori e il disegno degli spazi, evitando di lasciare agli espositori una tela bianca e vuota che loro possano customizzare a piacimento.

Il colore è sempre un elemento molto importante e “pensato” nei vostri allestimenti. Penso, per esempio, all’uso che ne avete fatto nel 2020 nella mostra su Caravaggio e Bernini al Rijksmuseum di Amsterdam, coraggioso perché in controtendenza rispetto alle tonalità cupe e ai contrasti intensi di solito associati al Barocco. Che cosa rappresenta per voi?

La questione del colore per noi ha varie nature e motivazioni. Innanzitutto, nel contesto museale ci piace andare un po' contro l'idea dello spazio bianco che è un po' un'icona del concetto moderno di spazio espositivo. Inoltre, il colore è un elemento che è sempre stato considerato dai progettisti cosiddetti seri, anche se non da tutti, di importanza secondaria. C'è stata storicamente una sottovalutazione del suo ruolo. A noi piace l'idea che per presentare le opere non sia necessario pretendere una neutralità che in realtà non esiste ed è solo apparente. Amiamo lavorare in questo spazio che è rimasto per lungo tempo inesplorato.

Tornando a Salone Raritas, che colori vedremo?

È presto per dirlo perché la progettazione dipenderà anche dalle scelte fatte dalle gallerie sulla cartella colori che abbiamo proposto. Possiamo anticipare, però, che si tratta di una cartella abbastanza sobria, con degli accenti di colore sì, ma piuttosto sottili.

Come avete interpretato, invece, il tema della “lanterna architettonica”?

Abbiamo cercato di fare in modo che il muro perimetrale diventasse un oggetto luminoso in sé, in modo tale da segnalare con facilità la posizione di Salone Raritas all’interno della fiera. Crediamo, però, che sarà più facile parlarne una volta che il progetto sarà eseguito perché è proprio quando si arriva ai dettagli finali che si capisce se tutto nel progetto funziona come speravamo.

Vi è stato di aiuto conoscere dall’interno il mondo del collectible design e averlo frequentato anche come designer?

No, anche perché è un mondo variegato e non tutto quello che si fa nelle gallerie ci piace. Ci hanno aiutato molto di più le nostre conoscenze nell’ambito della progettazione di mostre, anche se è diverso farlo all’interno di una fiera piuttosto che in uno spazio museale. Sappiamo, per esempio, che bisogna lavorare molto sugli elementi che si “impongono” alle gallerie e altrettanto sul lasciare uno spazio di libertà. Cercare di non lasciare che il risultato finale sia dettato dall’individualità ma che sia la coralità a vincere, ovviamente con i limiti del caso.

Siete sempre molto attenti all’impatto ambientale degli allestimenti che progettate e lavorate in un’ottica di riuso e di riciclo. Che tipo di accorgimenti avete adottato in questo caso?

Cerchiamo di essere responsabili per quanto riguarda l’uso dei materiali, per esempio abbiamo cercato di evitare la moquette, e di costruire un sistema modulare che possa essere riutilizzato per l’edizione successiva, al netto di quelle parti che dovranno necessariamente essere restaurate o sostituite. Come tra l’altro è successo nel caso dell’Arena che viene riproposta ogni anno restaurando gli elementi danneggiati. Questo non è solo un nostro desiderio ma anche nel Salone, anche se ovviamente è molto difficile quando si lavora nel contesto fieristico.

Come è nato il vostro interesse per l’exhibition design e la progettazione degli spazi, che da anni affiancate ad altre attività?

Dal fatto che molte delle mostre che andavamo a vedere non ci piacevano e ce le immaginavamo disegnate meglio. E dal fatto che siamo italiani e abbiamo una tradizione dell’exhibition design straordinaria, viva, pensiamo a Franco Albini e Carlo Scarpa, a Lina Bo Bardi o ai BBPR con il loro lavoro sul Castello Sforzesco che è una delle sedi che amiamo di più. Ci sembrava interessante misurarci con quel tipo di retroterra e di attitudine, ma spazializzare le idee è qualcosa che abbiamo sempre fatto ed è stata un’evoluzione molto naturale del nostro percorso.

15 dicembre 2025
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