La nuova Euroluce raccontata dai suoi progettisti
In una conversazione tra Cristian Catania, Juri Franzosi, Andrea Cacaci di Lombardini22 e Simone Farresin di Formafantasma scopriamo le idee che rivoluzioneranno l’evento più atteso del prossimo Salone
Seduti attorno a un grande tavolo nello studio di Formafantasma a Milano, i progettisti della prossima edizione di Euroluce raccontano le sfide e i principi guida che trasformeranno questo evento in un modello fieristico internazionale per gli anni a venire. Partendo da un lavoro di indagine partecipato avviato da Salone del Mobile.Milano un anno fa, con questionari e tavole rotonde che hanno coinvolto i protagonisti del mondo del design, si è giunti alla volontà di disegnare i quattro padiglioni di Euroluce attorno al visitatore e alla sua esperienza di fruizione. È stata presa come metafora la città e non più la griglia funzionale padiglione-centrica, dando vita a una vera e propria City of Lights, con tanto di vie, piazze e momenti di aggregazione rivolti non solo alle aziende e ai designer ma anche agli studenti e ai tecnici dell’illuminazione, unendo le varie anime del light design italiano, da quello decorativo a quello tecnico.
Il team di Lombardini22 si è occupato della ridefinizione dello spazio fieristico e dei suoi flussi, mentre Formafantasma curerà la grande Arena e i Cammei, piccole mostre distribuite nello spazio fieristico, a partire dai contenuti culturali scelti da Beppe Finessi. Ne parlano Juri Franzosi, Direttore Generale di Lombardini22 (L22) – il gruppo con sede nell’omonima via milanese che, con i suoi oltre 400 professionisti tra architetti, ingegneri e designer, usa il design thinking per offrire servizi sartoriali ai suoi clienti – l’architetto Cristian Catania che in L22 ha approfondito un concetto di design inclusivo attraverso il benessere ambientale e la valorizzazione delle specificità spaziali, il lighting architect Andrea Cacaci, responsabile del compartimento illuminazione in L22 o, come definito da Lombardini22, un lighting lover e infine con Simone Farresin di Formafantasma, studio che da anni ricerca l’impatto che ecologia, storia e politica esercitano sulla disciplina del design.
Juri Franzosi: Le fiere sono nate come luoghi di relazione dove accadevano le cose, ma negli anni si sono appiattite e questo concetto si è perso. Noi vogliamo, attraverso la progettazione degli spazi, consentire alle relazioni, alle proposte, ai contenuti e all’innovazione di accadere. Il coinvolgimento di figure come Formafantasma, ha fatto sì che due mondi diversi si avvicinassero, quello della progettazione più classica e quello della sperimentazione e ricerca. Per questo verrà coinvolto anche il mondo dell’arte. Vogliamo che, finita la visita il visitatore non si senta stanco ma energizzato, ispirato.
Simone Farresin: Oggi il visitatore si ritrova in una griglia a scacchiera simile alla pianta di New York, strutturata su modelli di iper funzionalità e iper efficienza che però toglie la possibilità di incontrare contenuti inaspettati. La fiera di design più importante al mondo ha la responsabilità di offrire dei contenuti di tipo culturale e intellettuale.
Cristian Catania: Oggi quasi tutte le fiere sono stand-centriche: il vero cambiamento è mettere il visitatore al centro. Un padiglione del Salone ha normalmente 12 strade in orizzontale e 4 strade in verticale: una scacchiera frastagliata che costringe a fare molte scelte per trovare uno stand piuttosto che un altro e dove c’è sempre il rischio di perdersi qualcosa. Un riferimento urbano consente un layout che, cognitivamente, non ci costringa a fare troppe scelte, dove si va avanti lungo un percorso ad anello variegato fatto di strade, vicoli e piazze. In una simulazione virtuale abbiamo osservato che con il layout classico si percorrono 1.2 km circa per poter vedere un padiglione intero. Con il percorso ad anello in circa 500 metri si passa davanti a tutti gli stand senza la frustrazione di perdersi qualcosa. Saranno presenti luoghi di ristorazione, spazi per le mostre, che avranno diverse curatele, un’area di workshop dove le aziende potranno esprimersi con tavole rotonde in cui illustrare i prodotti: un luogo dedicato alla cultura del progetto con designer, direttori e tecnici. Il tutto definito da un progetto di wayfinding specifico che non sarà più definito da un numero e da una lettera, come in una battaglia navale, ma da nomi di vie e numeri civici, colori e icone.
Andrea Cacaci: Oggi in fiera ci sono molte aziende che si perimetrano completamente, escludendo ogni rapporto tra il percorso pubblico e lo stand. La differenza sostanziale per le aziende è che non avranno più quattro lati liberi, invitando a un’apertura. In questo modo la luce, come l’acqua, scivolerà fuori e si espanderà nel percorso comune, perché quest’anno l’unica luce che vedremo sarà quella degli espositori, come in un museo variegato, con luci fredde, calde, deboli o intense.
Simone Farresin: Ci siamo preoccupati dell’impatto che ha costruire spazi temporanei oggi. Abbiamo immaginato una struttura modulare perché vorremmo che questo progetto allestitivo abbia una continuità, se non all’interno della fiera anche in altri luoghi.
Juri Franzosi: C’è una sfida culturale implicita. Da una parte abbiamo un’abitudine pluridecennale a concepire questi spazi come commerciali tout court. Le aziende, di fronte a un’Euroluce pensata così avranno il compito di trasmettere l’identità e il pensiero dell’azienda, per fare sì che diventi un luogo di ispirazione, dove poter imparare e vedere cose nuove. Per far accadere le cose servono identità, contenuti, valori, senza limitarsi alla valutazione del fatturato generato in fiera. Ricordiamoci che l’economia è una scienza sociale e non una scienza matematica.
Andrea Cacaci: È stato fatto un grande lavoro sui clienti, che sono molto differenziati. Il primo cliente del Salone sono gli espositori. Noi abbiamo voluto valorizzare anche i lighting designer, gli architetti, allargandoci agli studenti di design, agli appassionati di design ma anche agli elettricisti, che sono una fetta spesso nascosta ma importantissima di tutto questo mondo. I workshop a cui abbiamo pensato sono rivolti anche e soprattutto a loro.
Cristian Catania: Abbiamo ascoltato la voce degli espositori, che chiedevano maggiore visibilità e con loro abbiamo appreso la necessità, oltre che di esporre il prodotto, che la fiera si facesse portatrice della cultura del progetto in senso lato. Nel nostro progetto sono fondamentali gli spazi di relazione.