La storia del campeggio tra i padiglioni di Fiera Milano
Dagli archivi di Fondazione Fiera Milano, un'immersione di quelle che furono le nuove vacanze nomadi, gonfiabili e polimeriche dell’Italia del boom
In questi anni in cui si fatica a tener sgombri i nostri social – e le nostre orecchie – da parole come glamping, e da un certo mai sopito immaginario del wild che potrebbe portarci a investire discreti capitali in luoghi che del selvaggio hanno solo le scomodità, pur avendo in effetti lo stesso grado di artificializzazione di una qualsivoglia piazza Gae Aulenti, è probabile che ci sfugga il momento in cui per noi tutto questo è diventato una consuetudine, è probabile che non abbiamo presenti le occasioni e i canali attraverso i quali si è consolidato questo autentico rituale collettivo.
Circoscrivendo il noi alla scena italiana, il campeggio come fenomeno di massa non è certo antico come le piramidi, anzi: è un simbolo del secondo dopoguerra e degli anni del boom.
Nuova l’Italia, nuova e rampante l’economia, nuovi gli stili di vita accessibili ad una platea sempre più vasta, passato l’accamparsi come esclusiva di certi spericolati escursionisti, o di nobili padri dell’alpinismo dal triplice cognome; e in qualche proporzione passata anche la villeggiatura in cui si scendeva presso affascinanti (ed escludenti) alberghi: si va in campeggio.
Spiagge, boschetti, altipiani, laghetti diventano la terra promessa di tende, roulottes, materassini e canotti, di sdraio pieghevoli, di capanni removibili in fibra di vetropoliestere, di “gelati qui al bar” (possibilmente baracchino in listelli di legno), “canzoni sul mar” (va bene anche il laghetto di cui sopra) e perché no, di improbabili cigni di vetroresina per uscite in basso mare dal supposto alto tasso di romanticismo.
È l’avvento di un turismo mobile, nomade, che preferisce ruote e piattaforme di legno e di metallo alle fondamenta in calcestruzzo di case e alberghi, nuovo trionfo del temporaneo e del mutevole, a suo modo un bene di consumo.
In assenza di reel ossessivi e feed roboanti, sono le riviste a promuovere questo immaginario e i suoi oggetti; poi a confermare il tutto arriva il momento della visione irl in real life di questi strumenti di un nuovo stile di vita vacanziera, e in questo momento la scena è costituita dalle grandi fiere nazionali e internazionali, la grande Fiera Campionaria a Milano o i suoi rami specializzati dedicati ai trasporti, fino a uno specifico come il Sincas, un Salone Internazionale del Campeggio e dello Sport che sancisce l’importanza del nuovo rituale.
A farla da padrone sono le nuove sperimentazioni tecnologiche, su evoluzioni di tipologie come la tenda o la roulotte (in cui si cimenteranno anche nomi come lo stesso Marcello Nizzoli della Lettera 22 Olivetti) e soprattutto su nuovi materiali. La scena è occupata da attori come Pirelli, che dopo aver colonizzato in Italia tutti i salotti – pensiamo alla gommapiuma, al nastrocord delle poltrone Lady di Marco Zanuso – e le camerette – pensiamo a Munari e alle sue scimmiette per Pigomma – prontamente tappezza anche l’ormai celebre laghetto con gommoni e soprattutto materassini, nuove icone gonfiabili in largo anticipo sulle follie radicali di gruppi come Superstudio o Coop Himmelblau.
Sottraendo quote di mercato turistico alla cementificazione e - ci piace immaginare - qualche metro di riviera romagnola e di coste mediterranee alle palazzine, l’esplosione del campeggio in Italia ha quasi il volto, a distanza di decenni, di una prima, embrionale e largamente imperfetta forma di sostenibilità del turismo.
Certo, avrà in un primo sprovveduto momento inondato la penisola di immondizie, e di quegli stessi nuovi materiali che quanto a riciclabilità non erano esattamente cinture nere; ma ha smosso la situazione, ha fatto intravedere un primo spiraglio di alternativa a modelli consolidati, la possibilità di un rapporto diverso col paesaggio, al quale riavvicinarci accrescendo negli anni successivi consapevolezza e persino rispetto. Coabitazione, con buona pace del glamping.