In conversazione con Lesley Lokko

Lesley-Lokko, fondatrice dell’African Futures Institute e curatrice della 18. Mostra Internazionale di Architettura della Biennale di Venezia - Ph. Alix McIntosh
Intervista alla fondatrice dell’African Futures Institute nonché curatrice della 18. Mostra Internazionale di Architettura della Biennale di Venezia, tra gli special guest del programma culturale del Salone del Mobile.Milano 2025
Lesley Lokko è una tra le pensatrici e progettiste che prenderà parte (venerdì 11 aprile, ore 11.00) al programma culturale Drafting Futures. Conversations about Next Perspectives, cinque giorni di Talk e Tavole rotonde a cura di Annalisa Rosso, Editorial Director & Cultural Events Advisor del Salone. In un’intervista di qualche anno fa disse “il cambiamento procede lentamente, ma, quando inizia ad acquisire velocità, diventa inarrestabile”. Inarrestabile di certo lo è lei. Fondatrice dell’African Futures Institute nonché curatrice della 18. Mostra Internazionale di Architettura della Biennale di Venezia, Lesley Lokko è una architetta, docente e scrittrice bestseller pluripremiata per le sue indagini sulla relazione tra identità, cultura e spazio. In attesa di ascoltarla dal vivo durante il prossimo Salone del Mobile.Milano, abbiamo provato a capire insieme a lei in che modo - noi e l’architettura - stiamo affrontando e ci stiamo preparando ai cambiamenti del futuro prossimo.
Credo che le sfide di oggi siano molteplici e complesse, interconnesse tra loro, allo stesso tempo locali e globali, e riguardano luoghi che pensiamo di conoscere e altri di cui non sappiamo ancora nulla. Forse la cosa più importante oggi è avere la capacità di distinguere come le sfide si sovrappongono e intrecciano tra loro. In che modo e dove il cambiamento climatico è connesso alla giustizia sociale? In che modo la scarsità di risorse è connessa al nostro stile di vita? Quale è la relazione tra i flussi migratori e l’instabiltà politica? In che modo possiamo educare noi stessi e le nuove generazioni a gestire la complessità del nostro tempo? Se da un lato sembra che abbiamo a disposizione sempre più strumenti di informazione e conoscenza dall’altro sappiamo sempre meno come utilizzarli. Ad esempio, ogni anno che passa, noto che le domande degli studenti diventano sempre più vaghe: cosa posso fare della mia vita? Come posso cambiare le cose? Il mondo è così difficile, cosa posso fare per affrontarlo? C’è una grande energia e una voglia urgente e reale di fare qualcosa, ma non sanno da parte iniziare. Capire come tradurre le enormi sfide globali del clima, dell’identità, della migrazione, dell’avidità, dello sfruttamento e del razzismo in atti concreti, credo sia la più grande sfida di oggi.
La risposta si trova nella tua stessa domanda. L’hai detto perfettamente: la relazione tra le persone e lo spazio sono la base stessa del design. E l’architettura è la relazione tra le persone e lo spazio. Potremmo aggiungere che è anche l’esplorazione di questa relazione che cambia nel tempo ed è influenzata da molti fattori: il contesto, il clima, le risorse, la politica e così via. Ma qualsiasi esplorazione dell’architettura che non tenga conto delle persone e dello spazio, non è architettura, a mio modesto parere. L’ego, la vanità, l’avidità... esistono molti modi per descrivere il risultato di esplorazioni spaziali che non tengono conto dei reali bisogni delle persone (e questi possono essere funzionali così come effimeri) ma l’”architettura” non è tra questi. Abbiamo tutti gli strumenti per costruire nel migliore dei modi, dai rendering al BIM, ma non abbiamo sviluppato gli strumenti per comprendere chiaramente ciò di cui le persone hanno bisogno, desiderano e apprezzano. Negli anni ’70 il filosofo brasiliano Roberto Mangabeira Unger lo disse in maniera brillante. Non ricordo le parole esatte, ma in sintesi suggeriva che il fallimento dell’architettura contemporanea fosse triplice: prima di tutto artistico, nel senso dell’assenza di ogni canone nelle forme; in secondo luogo ingegneristico, ossia il fallimento dei vincoli fisici nel determinare la forma degli edifici; e infine sociale, inteso come l’incapacità di qualsiasi gruppo nella società di farsi riconoscere le proprie ansie come quelle che contano. Ed è quest’ultimo che risponde meglio alla tua domanda, almeno per me. È come se avessimo perso la capacità di negoziare o discutere le nostre differenze, ora siamo di fronte ad una partita urlata. Forse il fallimento è il nostro, non dell’architettura. Forse lo “space for discourse” dovrebbe essere il cuore stesso del design.
Sono molti i modi per avvicinarsi alla conoscenza ma la lettura e la letteratura sono modi molto più alti e profondi per conoscere meglio il mondo, almeno da un punto di vista più contemporaneo. Ci sono naturalmente diverse forme di conoscenza significative che non hanno niente a che vedere con la scrittura e la lettura, ma nella maggior parte dei casi si tratta di una conoscenza più locale e meno profonda. I magazine giocano un ruolo imporrate nel diffondere idee che vanno oltre ogni canone. Le riviste sono diverse dai libri e dai giornali accademici, che spesso percepiscono loro stessi - e sono percepiti - come una forma di conoscenza più rigorosa, mentre i magazine possono essere i catalizzatori di molte idee nuove e di insight freschi che non richiedono una complessità e non nascono solitamente da una infrastruttura che è alla base di chi scrive un libro o una rivista scientifica. È difficile scrivere un libro se si ha un lavoro a tempo pieno o senza una posizione universitaria, di qualsiasi tipo essa sia. I documenti accademici richiedono un certo numero di revisioni, e molti dei colleghi che svolgono queste revisioni sono
finanziariamente ricompensati - per quanto implicitamente, se non esplicitamente - dalle loro posizioni istituzionali, siano esse di ruolo o part - time. Le riviste dal canto loro offrono diversi tipi di possibilità per chi è fuori da questi giri. Folio: Journal of Contemporary African Architecture ad esempio è una pubblicazione prevalentemente amatoriale, non professionale. Ma, come ho detto altrove, la mia musa ispiratrice è sempre stata l’”amateur”, inteso come chi che lo fa per puro amore del progetto, senza paura di fallire ancora e ancora.