Pink Essay: la piattaforma che vuole democratizzare il design
In perfetto stile Millennial, David Eardley e Matt Pecina hanno fatto amicizia su Instagram nei primi mesi del 2020. Mentre il mondo entrava in lockdown e la nostra vita si faceva inaspettatamente digitale, la piattaforma Pink Essay di David catalizzava un legame a tutto design che, presto, si sarebbe trasformato spontaneamente in partnership di lavoro
Fondato nel 2019 da David Eardley – ex insegnante in una scuola montessoriana – inizialmente come newsletter, Pink Essay non è il classico design blog che mette in vetrina gli ultimi prodotti dei soliti nomi conosciuti da chiunque.
L’innovativa piattaforma ha anche una doppia identità, come studio creativo con l’obiettivo specifico di “ri-progettare la cultura del progetto” dando a studenti, a giovani designer provenienti da comunità emarginate e a chiunque sia interessato al settore dell’arredamento la possibilità di accedere a un mondo che, altrimenti, difficilmente li accoglierebbe. Durante la pandemia, a David si è affiancato come conceptual director Matt Pecina – fondatore di Studio Guapo – con il compito di aiutare lo studio a far crescere il proprio lato esperienziale.
Così, con base a New York e Mexico City, Pink Essay persegue una mission trascendentale. Online, il suo sito YK2 accende i riflettori su talenti sottorappresentati attraverso la rubrica Design Heads. Su Instagram, offre a una community di oltre 100,000 follower una vetrina dove mostrare il proprio lavoro. E infine, offline, invita le persone a partecipare agli eventi e alle mostre gratuite di cui segue la curatela.
David e Matt hanno in comune una particolare ossessione per le sedie. Secondo loro la sedia è l’esempio di arredamento più democratico e onnipresente: “Tutti hanno una sedia”, dicono. Ed è proprio questo oggetto primordiale ad aver ispirato la loro ultima mostra, Wear Your Chair, al Nomia di East Williamsburg, New York fino al 20 novembre. Li abbiamo incontrati per farci raccontare qualcosa di più del concept della mostra e del loro lavoro come duo creativo.
DE – Pink Essay all’inizio doveva essere un’esplorazione di miei interessi personali per il design e l’arredamento, ai tempi in cui insegnavo presso una scuola di Brooklyn. Durante la pandemia, mentre sperimentavo con la produzione di lampade nel mio ufficio, la piattaforma si è sviluppata molto e ho deciso di dedicarmici a tempo pieno. Il mio obiettivo era creare uno spazio, una comunità, dove la gente potesse approcciare il design in modo meno snob, sia online sia offline.
MP – Ho scoperto Pink Essay su Instagram, semplicemente perché seguivo un sacco di account dedicati ad archivi di design. All’inizio del 2020 stavo lavorando alla scultura di una sedia nel mio studio, documentando tutto il processo, quando sono rimasto tagliato fuori dal mio luogo di lavoro per via della pandemia. Cercavo un modo per esporre la mia opera senza che fosse necessaria la presenza fisica, e così decisi di contattare Pink Essay e pagare per la pubblicazione. Quella fu la mia prima esperienza con la piattaforma, ed è poi la stessa esperienza delle persone che ci contattano tutti i giorni. Da lì è iniziato un ping-pong di comunicazioni tra me e David: mi ha intervistato per una serie di video che stava producendo in quel periodo e ci siamo subito trovati bene. La collaborazione si è evoluta da lì in modo spontaneo.
DE – Be’, questa è la sesta mostra che curo personalmente. Però è la prima volta che sento di dovermi davvero prendere cura delle persone che espongono. In generale cerco sempre di trattare tutti con gentilezza, ovviamente, ma in questo caso particolare ho fatto anche dei regali in più ai designer. Ma il concept è di Matt, in realtà. “Wear Your Chair” è un’espressione che ha coniato lui e che è poi diventata una rubrica sul nostro sito.
MP – Avendo un background nello streetwear, o forse per via della mia indole da collezionista, avevo iniziato ad acquistare magliette vintage su Ebay. Ben presto mi sono accorto che la maggior parte di esse aveva almeno una sedia nella grafica. A un certo punto ho accumulato una collezione di questo tipo di magliette abbastanza significativa, e mi sono reso conto che era ora di ridimensionarla un po’: ho deciso di organizzare una serie di eventi pop-up presso il mio studio per invitare la gente ad acquistare pezzi della collezione, nel 2020, e l’ho chiamata “Wear Your Chair”. Ho incontrato tante persone che erano interessate ad acquistare abbigliamento ispirato all’architettura o che avevano già iniziato la propria collezione, e così ho creato un account Instagram per archiviare tutti questi capi. È diventata una forma di espressione, tipo “Non posso permettermi la sedia vera, ma posso indossarla su una t-shirt”. Parlandone con David, poi, abbiamo capito che sarebbe stato un bel progetto da esplorare meglio attraverso Pink Essay.
DE – Dal punto di vista logistico mi sembra ci siano due punti molto importanti da citare qui. Il primo è che, con l’evoluzione di Pink Essay dell’ultimo anno, abbiamo iniziato a pensare seriamente al nostro lavoro e a come la rubrica online potrebbe prendere vita anche offline. Wear Your Chair fa parte di questa evoluzione e probabilmente sarà la prima di molte altre mostre. L’altro punto è che questo è un segno del crescente peso culturale che ha l’arredamento. Siamo abituati a pensare agli arredi in termini così banali che vederli rappresentati così, attraverso la lente dello streetwear, dona loro un valore aggiunto. Diventano collezionabili, trendy. Il successo di questa mostra è un segnale del cambiamento in corso tra youth culture e design.
DE – Il nostro motto è “Re-design design culture” (“Ri-progettare la cultura del progetto”), quindi in un certo senso direi di sì. Vogliamo smantellare un sistema che ci sembra arcaico o troppo esclusivo, per migliorarlo.
MP – È anche un modo di sperimentare con prodotti che devono ancora essere ingegnerizzati. Per esempio la maglietta che espongo io nella mostra presenta una sedia che non ho ancora prodotto su larga scala. È una versione di un prodotto che aspiro a creare ma che finora, per vari motivi, non ho avuto l’opportunità di realizzare. È una versione imbottita. Produrre una serie di magliette con questa grafica mi permette di invocarla fino a farla esistere davvero.
DE – È molto complesso. Abbiamo affrontato il tema della mostra, Wear Your Chair, da due punti di vista diversi. Da una parte esiste un’ampia gamma di pezzi di abbigliamento che richiamano la sedia: borse a forma di sedia, gioielli, magliette serigrafate. Dall’altra parte abbiamo una collezione di pezzi d’arredo: una sedie che diventa appendiabiti, per esempio. Il tema è stato interpretato in una miriade di modi diversi.
MP – Abbiamo lanciato una call chiedendo alla nostra community di proporci le loro sedie, e poi abbiamo selezionato le candidature. Ne abbiamo raccolte più di 300! Alcune provenienti dalla nostra community, ma più di metà sono arrivate da nuovi designer che non avevamo mai visto. Le abbiamo guardate tutte, nella loro grande varietà, e abbiamo scelto quelle che ci sembravano più rappresentative di Internet; poi le abbiamo serigrafate su una maglietta per creare un sacro Graal senza tempo.
DE – Le magliette presentano il lavoro di designer anche lontani da New York perché volevamo che fossero il più varie possibile. I pezzi in mostra invece sono per lo più di designer locali, per facilitare la logistica degli arredi che dovevano essere trasportati fisicamente.
MP – Penso che abbiano molto più ottimismo ed entusiasmo. C’è chi stava solo provando a costruirsi qualcosa in garage e da Pink Essay ha ricevuto la spinta per concentrarsi davvero e mettersi al lavoro. Credo che sentire di avere una community intorno possa essere una forte motivazione a provarci di più, per sentirsi più validati. Soprattutto per gli artisti è difficile produrre qualcosa senza percepire il riverbero che ha sugli altri.
DE – È proprio così. Penso che in generale il settore creativo oggi ruoti molto di più intorno alle community. O almeno, la nostra generazione sta lavorando in questo senso: per rendere più aperti i mondi dell’arte e del design che finora sono stati caratterizzati dall’esclusività. La mia percezione è che oggi ci sia minore enfasi sulla competizione, e che l’idea sia sempre più spesso “Facciamo insieme qualcosa di cool”.
MP – Credo che la parte online del progetto crescerà per diventare una collezione di magliette con un nuovo drop ogni sei mesi circa, per dare a diversi designer la possibilità di partecipare. Vogliamo essere ricordati come il collettivo di design che ha stampato sedie sulle magliette, e che diventi una cosa iconica.
DE – Come ho accennato prima, questa è solo la prima di molte altre mostre. Spero che la porteremo a Los Angeles, Mexico City e chissà dove altro all’inizio dell’anno prossimo. Per quanto riguarda Pink Essay, continueremo a lavorare perché sia una piattaforma per i designer sottorappresentati e i fan del design, curando altre mostre e facendo tutto quello che serve per rendere il design più accessibile a tutti.