Beatrice Leanza: “Il design è uno strumento, non un fine”
Beatrice Leanza ha portato al Salone la sua visione di design poliedrica e carica di attivismo per mettere a fuoco problemi e proporre possibili scenari futuri. Le abbiamo chiesto un punto di vista personale sul ruolo del design nella contemporaneità
Radical Nature - the design and science of worldbuilding, è il titolo che Beatrice Leanza ha scelto per la talk che ha curato lo scorso 10 Giugno durante la 60esima edizione del Salone del Mobile di Milano. Ed è proprio in quel titolo che ritroviamo parte della sua visione e della sua idea di cosa sia il design ai nostri giorni.
Curatrice, critica, cultural strategist, Beatrice Lenza per molti anni ha vissuto in Cina dove la sua carriera è anche cominciata, e dove è stata creative director della Design Week di Pechino e dove ha partecipato a fondare The Global School, un istituto indipendente per la ricerca creativa.
Tornata in Europa nel 2019, da quella data e fino al 2022 ha guidato il museo MAAT di Lisbona e da Gennaio 2023 guiderà il Mudac, Cantonal Museum of Contemporary Design and Applied Arts di Losanna. Un curriculum internazionale, una lunga esperienza in oriente ed un profilo che rispecchia la necessità contemporanea di osservare il design da angolature diverse.
Figura poliedrica ed interessata alle categorie più trasversali del design contemporaneo, nel suo lavoro e per il suo talk, ha deciso di discutere temi complessi ma estremamente importanti ed urgenti, dando la parola a progettisti che hanno saputo con il loro lavoro analizzare il contemporaneo e suggerire possibili risposte. Nel tempio di quello che è il design più tradizionale legato al mobile ed al prodotto, Beatrice Leanza ha deciso di mostrare attività progettuali poco ortodosse e a volte difficili da comprendere ma che, come dice lei, hanno iniziato a sollevare problemi e a creare domande su cui poter costruire soluzioni e futuri alternativi.
Nel suo lavoro di ricerca e curatela, considera necessaria la ricerca di espressioni progettuali che si risolvano in atti critici, a volte provocativi, ma che abbiano un impatto sociale positivo.
“Nel mio lavoro cerco sempre di far emergere l’idea profonda che un professionista ha della disciplina del design in modo da esprimere il potenziale in una società contemporanea complessa e stratificata.”
Per Leanza il design diventa leva di uno sviluppo sociale e lo fa attraverso la sua capacità di creare un pensiero trasversale, creativo e critico che si fa carico dei temi contemporanei.
Con la sua visione Beatrice Leanza ci dimostra come la difficoltà di definizione del design diventa la sua vera forza, il processo e il medium utilizzati diventano essi stessi il prodotto, anche se questo non ha un aspetto meramente fisico ma è vivo nella coscienza. Quali sono secondo te le competenze che un progettista contemporaneo dovrebbe possedere?
“Penso che un intento etico fondato sulla generosità intellettuale, l’apertura alla diversità, alla conoscenza che deriva da saperi adiacenti o intersecanti il settore del design sia fondamentale per chi voglia operare nel mondo della creatività e dell’innovazione oggi. Sapersi vedere parte di un insieme e non ‘architetti’ di un sistema assoluto, significhi anche non temere il rischio, navigare tracciati di varia scala e impatto – il design è poetica e politica delle relazioni, entrambe devono trovare spazio nell’universo creativo di qualsiasi progettista.”
Leanza mostra l’idea di un design che è strumento di narrazione assolutamente collaborativo capace di creare dibattito e mostrare un futuro, possibilmente migliore. I temi sono molteplici ma la contemporaneità è un’esigenza. Centrale dunque la sostenibilità ambientale a partire dalla scelta del titolo per la talk e nella selezione degli invitati, tutti impegnati anche se in modi diversi, a raccontare visioni future responsabili e ambientalmente sostenibili. Dallo speculative design alla democratizzazione dell’energia, Beatrice Leanza ha mostrato come è possibile per un progettista affrontare tematiche attuali e scottanti.
Si parte dal lavoro dell’architetto/regista Liam Young con il suo Planet city che mostra attraverso il potente mezzo del video, un’idea futura di spazio antropizzato in cui non esistono più confini territoriali ma in cui società diverse convivono in modi sostenibili in una città che diventa l’intero pianeta. Si prosegue con il lavoro critico e speculativo di Anab Jain di Superflux fino ad arrivare all’idea di un’approviggionamento energetico iper democratico che arriva dal sole con la designer Marjan Van Aubel.
Così Beatrice Leanza ha toccato diverse scale del progettabile, dal cucchiaio alla città per citare Nathan Rogers, ma anche oltre, per mostrare che non esistono confini alle tematiche di cui il design si può far carico. “Ma dov’è il mobile in tutto questo?” qualcuno potrebbe chiedersi. Questo il rischio, ma anche la sfida che è necessario accogliere.
Beatrice Leanza è molto consapevole di come i progettisti e i temi che porta sul palco siano a volte distanti dalla visione più comune del design, ma accettando questa sfida chiarisce anche in che modo è possibile evitare che le parole risuonino come un'eco per i soli addetti ai lavori “i contributi che sono stati portati sul palco attivano un discorso e predispongono ad un coinvolgimento e un attivismo a cui bisogna dare spazio di parola. Bisogna affrontare i temi scuotendo le coscienze e dando voce ad emozioni e reazioni”. Così come per i suoi invitati, Beatrice ha un’idea molto chiara di quale sia il ruolo del progettista “non è solo una questione di risolvere problemi pratici, il compito è quello di portare visioni e proporre aspetti critici che siano poi compresi ed attuati dalla società.”
I problemi, nella sua visione, diventano opportunità progettuali, sembrano non esistere confini per il design in questo senso, perché il design è uno strumento, non un fine.
Il suo nuovo incarico futuro la vedrà come direttrice di un’importante istituzione museale e per questo le chiediamo il suo punto di vista sulle istituzioni culturali. “Sono sempre stata una sostenitrice di una visione delle istituzioni culturali intese come piattaforme di sperimentazione e prototipazione, confronto sociale e inclusività. Il museo è una macchina trasformativa e in continua trasformazione, è un dispositivo di dialogo con il presente e le sue complessità per rendere il futuro possibile, immaginabile, abitabile. Il suo successo risiede nell’assorbire il mondo, ascoltarlo, mediarlo per ampliare formule e impatti di partecipazione pubblici e professionali. Le istituzioni culturali hanno il ruolo e la responsabilità di edificare connessioni ed esperienze nel celebrare diversità, rendere visibili le frizioni, permettere a varie forme di espressione di confrontarsi, operando in tutte le dimensioni che costituiscono la realtà, fisiche, digitali, virtuali che siano. È una macchina metabolica che funziona 24/7 – per fare, disfare, rifare il mondo!”
Se il 2050 è una data limite per la civiltà umana, per essere ottimisti proviamo ad immaginare il ruolo del designer da quella data in poi, “un ruolo che ancora non ha una definizione” risponde.
TALK: Radical Nature - the design and science of worldbuilding