Bjarke Ingels: creiamo progetti ibridi per le generazioni future
L’architetto alla guida del Big Group parla dei suoi ultimi lavori dalla doppia anima come il termovalorizzatore-pista da sci di Copenhill o il museo-ponte nel Kistefos Art Park. Rappresentano “nuove tipologie” e in un mondo in cambiamento aprono la strada a chi verrà dopo.
Bjarke Ingels, con il suo Big Group, vuole essere l’architetto degli ibridi, del termovalorizzatore cittadino che a Copenhagen diventa una pista da sci, del quartier generale di un’azienda di arredo (la norvegese Vestre) in un bosco che diventa meta di turismo. Ospite dell’ultimo “supersalone”, ha dedicato la sua lezione durante gli Open Talks agli ultimi progetti dello studio, compreso Citywave, a Milano, all’interno di CityLife: una struttura curva, coperta di pannelli solari, che come un grande portico, collegherà due edifici di uffici. I lavori sono iniziati lo scorso settembre. Ma le sfide di Ingels sembrano non finire mai.
È in atto la decolonizzazione dell’ambiente costruito e della società nel suo complesso: una grande trasformazione. Molti progetti a cui stiamo lavorando si stanno spostando rispetto alla classica architettura dei musei e delle sale da concerto. Stiamo progettando un grosso impianto di riciclo della plastica negli Usa, per esempio, o un’isola che funziona a energia eolica. Per tutto questo non ci sono pure soluzioni di design. Serve lavorare insieme al design finanziario, o all’ingegneria: i nostri progetti sono alla convergenza di molteplici campi. Come designer possiamo giocare un ruolo chiave legando diversi aspetti insieme in qualcosa di olistico.
Le Corbusier ha detto che il ruolo dell’architetto è inventare nuove tipologie in modo che le forze di mercato possano perseguirle per rifinirle e ottimizzarle. E penso che, in questo senso, il museo che è un ponte (Twist, per il Kistefos Art Park in Norvegia, ndr), o il termovalorizzatore che è una pista da sci (Copenhill a Copenhagen, ndr) rappresentino nuove tipologie: ibridi che uniscono cose che non si erano mai viste prima insieme. Sono una sorta di doni che possiamo lasciare alle generazioni future. La prima cosa nuova è sempre la più difficile da fare. Può darsi che non sia la migliore, ma apre le porte per qualcun altro capace di migliorarla. Arne Jacobsen, l’architetto danese, non era, per così dire, un innovatore. Per molte delle cose che ha fatto, Mies van der Rohe o altri avevano aperto la strada prima di lui. Ma lui era così bravo a perfezionarle, a migliorarle, a renderle più eleganti. Immagino che il nostro ruolo sia cercare di costruire ibridi per la prima volta, in modo che gli altri possano partire da lì.
Ha accelerato alcune trasformazioni: lo spostamento dal fisico al digitale, per esempio. L’e-commerce ha reso i classici negozi statici meno attraenti dal punto di vista economico. E ora che cosa possiamo fare con il piano terra delle nostre città, per renderlo più vivace e invitante se non è più pieno di negozi? Magari ci sono soluzioni più interessanti. Abbiamo cominciato a guardare gli spazi pubblici, come le piazze che ospitano i mercati il sabato o la domenica. Ci possono essere nuove tipologie, come negozi o mercati pop up, che animano il suolo pubblico anche se non sono sempre là. Abbiamo cominciato a pensare come infrastrutture autonome mobili possano essere parte, nel futuro, di uno spazio aperto dinamico e nomadico.
Il progetto Telosa che stiamo portando avanti (insieme all’ex presidente di Wallmart Marc Lore, ndr) può essere una risposta al problema della gentrificazione che spesso porta al dislocamento. La riqualificazione è una cosa buona per il quartiere perché diventa più desiderabile ma allo stesso tempo più costoso. E le persone che lo abitavano originariamente non sono più in grado di permetterselo. Rendere i quartieri migliori vuol dire anche che includano tutti, non solo i nuovi arrivati.
In Texas stiamo costruendo per la Nasa prove di habitat stampati in 3D (il progetto Mars Dune Alpha, ndr). Penso che il primo passo sia la Luna. Il programma Olympus porterà una base permanente al Polo Sud lunare a cavallo del decennio: alla fine degli anni 2020 penso sinceramente che sarà in costruzione. E non ho dubbi che durante la nostra vita ci sarà una presenza umana permanente sulla Luna e su Marte. Sulla Luna potremo sfruttare i tubi di lava sotterranei lunghi diversi chilometri: lì si potrà iniziare costruendo una piccola base gonfiabile, perché ci proteggono dalle meteore e dalle radiazioni. E poi, chiudendoli, si possono riempire di aria respirabile. Per cominciare a vivere in un altro pianeta dovremmo tornare cavernicoli.