Design ed empatia: il nuovo numero di Backstage Talks
Un progetto editoriale, giunto alla settima release, curato da Büro Milk, studio slovacco composto da designer, giornalisti, visual artist provenienti da tutta Europa
In che modo l’empatia influenza le professioni creative, la nostra vita privata e l'ambiente circostante? Che strategie mettono in atto i creativi per combattere il cinismo? Le storie sono davvero in grado di renderci più empatici? E cosa possiamo fare quando il sentimento per gli altri ci fa perdere di vista i nostri, di sentimenti, o quando siamo sopraffatti da tutte le ingiustizie di un mondo sempre più complesso? E ancora: essere empatici con se stessi ci consente di esserlo anche con gli altri?
Si apre con questi interrogativi l’editoriale del nuovo numero di Backstage Talks, progetto realizzato da Büro Milk, studio slovacco composto da designer, giornalisti, visual artist provenienti da tutta Europa. Come si intuisce dalle premesse, il settimo numero di questa rivista indipendente diretta da Martin Jenča è interamente dedicato al concetto di “empatia”. E dunque, come si combatte il cinismo? Provano a rispondere sette creativi provenienti da diversi campi: la designer Nicole McLaughlin, la designer, artista e fotografa Ana Kraš, la giornalista e scrittrice Kati Krause, l'autrice Leslie Kern, l’artista Andrej Dúbravský, l’art director Kurt Woerpel e l’architetto Christopher Laing.
Tra gli highlight del numero, un’intervista con Anna Kulachek, art director ucraina di stanza a New York, che nel corso della sua carriera ha collaborato con istituzioni come il MoMA, La Triennale di Milano e aziende del calibro di Nike, Apple, Calvin Klein e Prada. La designer ed educatrice Ľubica Segečová ha parlato con lei dell'Istituto Strelka, delle gioie e delle sfide dell'insegnamento e dell'impostazione ideale del lavoro.
Un contributo al dibattito sul tema del numero è rappresentato dalla trascrizione della lecture tenuta dal designer e direttore creativo americano Brian Collins presso la Kellogg School of Management at Northwestern University di Chicago. Tra le altre cose, Collins affronta il tema del design rigenerativo, “un termine che si è diffuso molto negli ultimi anni nell’agricoltura e nell'architettura, ma che in realtà trascende le discipline e i settori. In architettura consiste nel progettare con l’obiettivo di contribuire a ripristinare l'eco-funzionalità di un paesaggio. In agricoltura, l'attenzione è rivolta al ripristino della micro-biodiversità del suolo. Quando il suolo è vivo e sano, immagazzina più carbonio e assorbe più acqua, due fattori con un riscontro positivo per il clima. Il suolo è più ricco di micronutrienti, e un suolo più sano equivale ad alimenti più sani”.
Con Hedda Lilleng, designer e strategist, nonché managing director dello studio di architettura Snøhetta, la giornalista Petra Marko affronta il tema della sostenibilità nel prestigioso studio di base a Oslo. “Dal nostro punto di vista, l’architettura e il design dovrebbero contribuire a migliorare la società o l'ambiente. In qualità di studio che opera globalmente, abbiamo la responsabilità di avere un ruolo ruolo centrale nella creazione di valore culturale, sociale ed economico per i nostri clienti e più in generale per la società.”
A proposito di responsabilità sociale, un contributo arriva da Tereza Ruller, designer indipendente, educatrice, e co-fondatrice dello studio The Rodina. In una conversazione con Martin Šanta, che tra le altre cose tocca il ruolo dei designer e il concetto di “fare sistema”, Ruller racconta: “Noi progettisti pensiamo spesso di poter di risolvere tutto. È un'idea molto problematica, quella che i progettisti debbano farsi carico di tutte le difficoltà del mondo. Dalla crisi climatica in corso fino ai cambiamenti sociali. Dobbiamo collaborare e usare le nostre competenze per lavorare con altri esperti, ma anche ascoltare persone normali che condividono le loro esperienze. Mi piacerebbe molto creare sinergie con un esperto nella realizzazione di progetti sociali. La cooperazione è necessaria.”