Francesco Binfaré
Vivacissimo anticonformista milanese, senza dubbio il re del divano e un Ulisse contemporaneo, in viaggio attraverso la storia del design italiano
Essenzialmente artista e designer. In realtà tanto altro. A cominciare dalla carica di direttore del Centro ricerca Cassina, dal 1969 al 1976, che gli permette di esercitare l’arte in ambito industriale. Per poi continuare coordinando le realizzazioni della monovolume Karasutra di Mario Bellini e dell’habitat sotterraneo di Gaetano Pesce per una delle mostre-pietre miliari della storia del design italiano: New Domestic Landscape al MoMA di New York nel 1972. Nel 1980 crea, poi, un proprio Centro Design e Comunicazione per la ricerca e la promozione di progetti, alcuni dei quali realizzati per Cassina, come Cab di Mario Bellini, Wink di Toshiyuki Kita, Tramonto a New York di Gaetano Pesce.
Vivacissimo anticonformista milanese classe 1939, Binfaré è senza dubbio il re del divano perché nei suoi sessant’anni di attività ne ha disegnati un’infinità. Divani senza tempo, semplici all’apparenza, in grande scala, dispensatori di benessere che coniugano tecnologia e materiali naturali. Divani-sculture come L’homme et la femme, il primo fra l’altro a introdurre configurazioni variabili; decostruiti e versatili come Flap; morbidi e avvolgenti quale Standard; o di ispirazione orientale, flessibili, adattabili, persino classici, fino al celebratissimo Pack, un orso sulla banchisa di ghiaccio (la seduta) sdraiato sul fianco (lo schienale). Una provocazione e un appello di riflessione a tutti noi.
Impara l’arte della pittura e del disegno dal padre, trasferendola poi nella ricerca del design, indagando metodi inediti per stimolare la creatività e coinvolgendo architetti e designer nella creazione di prodotti, oggi, icone del made in Italy, dal Maralunga di Vico Magistretti alle Bambole di Mario Bellini, dalla seduta AEO di Paolo Deganello a Up e Sit Down di Gaetano Pesce.
Partecipa alla mostra itinerante sul futuro della tecnologia realizzata in Triennale nel 1992, anno in cui inizia la proficua e prolifera collaborazione con Edra. Visionario, ha progettato allestimenti per il lancio di nuovi prodotti, inventando quello che oggi definiamo il concept di un evento, e promosso iniziative sperimentali come Braccio di ferro nel 1973, con Gaetano Pesce e Alessandro Mendini per l’edizione di modelli di avanguardia, ed Environmedia nel 1974, con Mario Bellini e Pierpaolo Saporito, per l’impiego di media interattivi nella prassi del progetto. Un Ulisse contemporaneo, in viaggio attraverso la storia del design italiano.
Nasco e tuttora sono e lavoro nell’area dell’arte e di una ricerca del segno più che della tecnica.
L’ispirazione e l’idea di un’opera di design per me non nasce da tempo dalla tecnologia. Semmai una nuova tecnologia funziona da stimolo perché rappresenta un’occasione da non perdere. Il seme di un’idea mi nasce sempre dall’urgenza di esprimere una visione poetica che matura dall’osservazione lenta di come mutano i costumi e i comportamenti e dal bisogno di rappresentare il tempo che sto vivendo.
Quello che mi offre una domanda di lavoro nel campo di cui sono ritenuto esperto è la straordinaria e fortunata possibilità di realizzare, di far nascere qualcosa di concreto e fruibile che mostri e regali al mondo una cosa che prima non c’era e che forse in essa si rispecchino poeticamente molti sentimenti e caratteri della contemporaneità.
Per esempio, il Pack è nato da una mostra che ho fatto alla galleria Biffi dal titolo Selfies in cui vedevo in modo anche preoccupato la progressiva virtualizzazione dell’incontro umano. La mostra era costituita da schizzi velocissimi, un po’ come avviene per gli scatti di foto con lo smartphone, di visioni di persone su zattere che osservando il mondo dentro la loro tavoletta magica non si rendono conto di dove il corso della corrente oceanica li stia portando.
Il manifesto della mostra è tratto da un disegno rapido di una coppia che baciandosi si guarda negli occhi nel rispettivo dispositivo.
Ora ci si potrebbe chiedere perché il divano per me sia così significativo. A me interessa lo spazio, e la luce e il corpo. Il divano per me è il calco dei movimenti più nobili dell’umano. Quando disegno un divano per la produzione di serie lo immagino come un’installazione itinerante. Come ora si sta drammaticamente manifestando, già allora, si era nel 2016, il tema dell’affettività usciva fortissimo nella sua progressiva difficoltà espressiva tra le persone. Per altro verso, dopo una serie di divani che avevano movimenti per soddisfare e rappresentare le posture che si andavano man mano liberando dalle rigidità ottocentesche, desideravo realizzare un divano che consentisse la totale libertà e la facilità di trovare la postura desiderata con la sua propria felicità di forma. Desideravo trovare anche la rappresentazione di un mondo globale che si stava paradossalmente frantumando. Trovai allora nelle immagini di repertorio della banchisa polare estiva la sintesi folgorante: un orso bianco felice al sole che galleggia su uno spezzone di ghiaccio, che forse non si rende conto del pericolo, ma vive il suo momento di grande intensità. Scelsi la postura ideale dell’orso perché fosse gioioso e disegnai la forma perché potesse al primo colpo d’occhio essere percepita subito anche come un divano.
Ne parlai alla Edra.
Fu come fare una scultura nella neve come si fa in val di Fassa durante il Natale e venne fuori il Pack. Il tema dell’ambiente è un tema che mi intriga moltissimo. Già oggi, e certamente per un certo periodo anche non breve le case saranno da proteggere dall’inquinamento esterno e la ricerca sarà comune anche per fare l’esplorazione spaziale perché anche le capsule e le piattaforme satellitari necessariamente dovranno proteggersi dal vuoto e dai corpi asteroidi e da chissà cos’altro. Viviamo quindi in un’epoca molto complessa con grandi e rapidi mutamenti e anche pericoli.
La qualità dello spazio, della luce e del rapporto con il corpo diventerà sempre più importante e preziosa. Il divano sarà sempre di più uno spazio e sarà il centro della vita affettiva e della sacralità, lo spazio dove conservare e rigenerare la cultura del corpo e la memoria della nostra umanità.
Le do un altro esempio di come le idee possano cominciare ad affiorare. All’inizio dell’agosto 2019 ho iniziato una storia a disegni di umani isolati che pare una metafora chiaroveggente di quello che sta ancora succedendo ora. La storia porta poi il protagonista fuori da una grave situazione verso il mare. Con una primordiale barca ritrovata sul litorale dell’isola da cui fugge approda sulla costa da cui molto tempo addietro era partito. Ritrova una sorta di costruzione sotterranea e scopre al suo interno una grande finestra artificiale cha dà su un mondo sconosciuto e virtuale. I disegni della storia si fermano qui. Da lì sono partito a disegnare un’ipotesi abitativa adatta a un’ipotetica situazione contaminata.
Ho lavorato anche su di un’installazione, come fosse la scena dove il medesimo piccolo gruppo umano dell’inizio della storia si ritrovasse in salvo dentro una stanza trasparente verso fuori e specchiante verso dentro.
Nella stanza le persone sono accucciate o sedute in un modo reciprocamente protetto, ma anche facilmente comunicante. E c’è anche una grande apertura da cui si può ricevere luce e aria pulita con una bellissima vista sull’esterno completamente virtuale, cioè assolutamente non corrispondente alla realtà esterna. Questa è una sceneggiatura che ho concepito e portato avanti da agosto alla fine dello scorso 2019 senza che ci fosse il minimo sentore del virus che sarebbe arrivato. Poi ho avuto, come si sa, altri problemi e francamente non ci ho più pensato. Ora ho ricominciato a pensarci seriamente e mi appresto a riconnettermi con la storia.
1992. Avevo da poco dato le dimissioni dal mio incarico con Cassina e stavo terminando le Tracce emozionali domestiche, grandi tele su lenzuolo matrimoniale, in preparazione per una mostra personale curata da Pierre Restany.
Incontro Massimo Morozzi per la strada. Mi chiede cosa sto facendo. Rispondo:” Sto dipingendo”. Mi dice:” Ora sono direttore artistico di Edra e mi piacerebbe che ci disegni qualcosa per festeggiare i 25 anni del radical design. Mi piace anche che per l’occasione i nostri ruoli storici di designer e di art director si trovino a rovescio. Nacque l’Homme et la Femme, e poi venne tutto il resto.
Si, esattamente tutto questo e qualcosa d’altro di volta in volta. Anche un libro bianco da scrivere per uno spazio di tempo da raccontare.
Devo ammettere che vivo il divano come un multiplo e un’istallazione itinerante che finendo nelle case possa produrre una drammaturgia ossigenante e vitale.
È molto diverso. Sono mutati i processi organizzativi. Sono comparse nuove tecniche di espressione. Suggerisco ai giovani la fisicità degli incontri, il disegno diretto sulla carta e il lavoro tridimensionale con le mani.
Qualcuno mi ha chiesto come potrei definire il mio mestiere. All’inizio ho risposto che la definizione della categoria della mia partita iva è: artista, inventore. Ora ripensandoci penso che dall’inizio continuo a studiare e a fare esperienza per fare Francesco Binfaré, e non ho ancora finito.