Il primo Salone senza Mari, Hans Ulrich Obrist ricorda il Maestro
Il direttore artistico della Serpentine Galleries, incontrato al “supersalone”, riporta alla mente l’approccio e il pensiero di Enzo Mari, ancora contemporaneo e attuale.
“È il primo Salone senza Enzo Mari, eppure il suo spirito è dappertutto”. Il direttore artistico della Serpentine Galleries Hans Ulrich Obrist (Zurigo, 1968) che ha curato con Francesca Giacomelli la recente mostra Enzo Mari alla Triennale di Milano, rilegge le sfide della società contemporanea (e del design) attraverso il pensiero del maestro scomparso quasi un anno fa.
La crisi ambientale, il problema dell’estinzione ci impongono il tema della durata di quello che progettiamo. Quando andavo a vedere qualche mostra insieme a Enzo Mari, capitava che lui si mettesse ad urlare davanti a un oggetto: “Non durerà”! Invece abbiamo la responsabilità di usare i materiali per oggetti che durano. La mostra Cambio dei Formafantasma che abbiamo commissionato e ospitato alla Serpentine e che ora è al Centro Pecci di Prato (fino al 24 ottobre, ndr) ci parla del legno come risorsa da preservare, mentre alcuni esempi di fast furniture non sono sostenibili perché ne usano troppo.
Sì, Enzo Mari parlava di lavoro non alienante. Di design come pratica condivisa in una società diversa. Come la sua idea di autoprogettazione. L’ho ritrovata nella mostra di Michael Anastassiades che ho visto all’Ica di Milano (Cheerfully Optimistic About the Future, fino al 6 gennaio 2022, ndr): opere semplici, senza industria, frutto un piccolo studio che lavora con molto amore, in modo non alienante. Una visione da rivalutare in questo periodo post-Covid: Mari parla della dimensione utopica del design, mai come ora necessaria.
All’inizio gli imprenditori non volevano produrre i giochi di Mari, come i 16 animali, ma lo hanno seguito. Ogni azienda dovrebbe avere un artista al centro del proprio lavoro. Pensiamo a Nanda Vigo, che ci manca molto e ci ha donato una delle sue ultime opere interpretando con le luci proprio gli animali di Mari nella mostra alla Triennale. Pensiamo a Cini Boeri, a Sottsass: il miracolo di Milano è avvenuto perché gli imprenditori hanno lavorato insieme a loro. Ogni azienda, ogni governo, ogni città dovrebbe avere un’artista nel board.
Barbara Steveni e John Latham fondarono in Inghilterra negli anni 60 l’Artist Placement Group proprio con questo obiettivo. Un’iniziativa che ha creato una dinamica incredibile che dovremmo rivisitare. Nel 2004 Peter Saville, che disegnò memorabili copertine degli album dei Joy Division per la Factory Records, è stato nominato Creative Director della città di Manchester rivitalizzandola e contribuendo a creare il Manchester International Festival, con cui ho collaborato: forse il più dinamico e internazionale in Europa. È una lezione che altre città dovrebbero seguire. Ora Manchester sta costruendo la Factory, disegnata dall’Oma di Rem Koolhaas: sede del festival e polo della creatività. Dopo il Covid, è fondamentale riportare gli artisti – in senso lato: anche scrittori, poeti, designer – al centro. Viviamo tempi speciali in cui si può realizzare l’utopia.