La bellezza si ricicla nella grande mostra a Fondazione Prada
Recycling Beauty ha aperto il 17 novembre alla Fondazione Prada. La mostra, piena di interrogativi e suggestioni sulla nostra percezione dei manufatti artistici, espone opere classiche in una vera e propria operazione di riutilizzo, ripensandone coraggiosamente la loro esposizione grazie all’allestimento firmato Rem Koolhaas. Uno spunto anche per il settore design
Fondazione Prada inaugurava la sua cittadella nel quartiere che sempre di più sovente sentiamo apostrofare come ‘Soupra’ (SOUth of PRAda) nel 2015. La mostra Serial Classic, che aprì gli articolati spazi della Fondazione milanese, fu co-curata da Salvatore Settis, Anna Anguissola e Denise La Monica e analizzava esempi di scultura classica esplorandone il rapporto ambivalente tra originalità e imitazione del mondo romano e come tale rapporto contribuì a generare modelli che dalla classicità si sono protratti ininterrottamente nella storia dell’arte.
Che valore ha una copia? Perché le copie sono state così fondamentali per la cultura artistica? A questi e altri interrogativi si aggiungono ora quelli proposti da Recycling Beauty che lo stesso team curatoriale dedica al concetto di riuso di parti, frammenti, oppure semplicemente di materiali di antichità greche e romane riciclati in contesti post-antichi.
Abituati come siamo stati da una visione falsata d’epoca neoclassica, che voleva il mondo antico come a un immaginario fisso, immutabile, ineguagliabile, abbiamo per secoli considerato tali forme perfette come espressione di un’intenzione costante e omogenea, dimenticato quanto invece varie forme di editing e mixing fossero pratiche all’ordine del giorno. L’ambiziosa mostra pensata da Salvatore Settis e il suo team ci accompagna attraverso una vasta varietà d’esempi dove porzioni di qualcosa già considerato “antico” dagli autori del Rinascimento e del Barocco alimentava sovente la configurazione di nuove opere, ispirandone anche ardite interpretazioni estetiche e d’utilizzo, oppure semplicemente ne reimpiegava i materiali in una vera e propria economia circolare.
Come già dimostrato nelle precedenti Serial Classic la creazione e fruizione delle opere classiche è qualcosa di molto più articolato e trasformativo, condizione che i curatori e la Fondazione Prada hanno inteso manifestare non solo grazie ai rigorosi studi condotti, ma anche attraverso la sfida intrigante e insieme rischiosa: presentare l’antico come arte contemporanea. È del resto un rischio “calcolato” poiché molti sono gli evidenti parallelismi che il visitatore può ravvisare tra tematiche quali l’upcycling creativo e l’adattamento di modelli estetici passati a nuovi contesti sociali e culturali. Meno semplice invece, è immaginarsi artisti del presente assumere tale pratica come ‘regolare’ nella realizzazione delle loro opere. Benché ci siano tentativi in questo senso: in Italia Francesco Vezzoli (forse non a caso molto vicino alle riflessioni generate nell’ambiente culturale che ruota attorno a Prada) ha rimaneggiato artefatti antichi, appropriandosene, ma questo e pochi altri casi sollevano questioni legate al copyright oppure al rispetto e conservazione dei reperti storici.
L’allestimento di Koolhaas/OMA è parte fondamentale di questa operazione: l’architetto olandese ancora una volta sperimenta con materiali diversi la questione dell’allestimento museografico. Salvatore Settis durante la conferenza stampa ha giustamente ricordato quanto fondamentale sia stato nella storia delle grandi mostre e dei grandi musei lo studio di soluzioni ‘ad hoc’ per porgere ciascun artefatto, in tal senso basti pensare alle straordinarie soluzioni pensate (solo per restare in Italia) da architetti come Carlo Scarpa o Franco Albini. Koolhaas ha qui praticato sostanzialmente due scelte, solo in parte comprensibili: da un lato ha intelligentemente pensato a delle teche che di fatto sono in tutto e per tutto delle scrivanie con tanto di sedie ‘eamsiane’ che il visitatore può usare, offrendo così l’esperienza di consultare le opere come fossero storici volumi che il ricercatore ha prelevato dallo scaffale di una biblioteca. C’è poi una grande varietà di piedistalli e basi dove sculture di grandi e grandissime dimensioni sono appoggiate, in quel caso meno chiaro è il ragionamento che ne definisce il design: alcune sono deposte su più strati di vari materiali come plexiglass e vere e proprie tele da pittura, altre su imballaggi di legno (che però non sono certamente quelle che proteggevano le opere durante il loro trasporto) ed ancora scampoli di materiali come moquette o cuscinetti di gomma. Sebbene alcuni di questi dettagli appaiano accattivanti e persino divertenti, non si capisce in che modo e in che misura tali soluzioni rappresentino un vero confronto o dialogo con le rispettive opere che custodiscono.
L’allestimento si porrebbe quindi con valenze e velleità a sua volta scultoree, completando e aggiungendo (almeno per la durata della mostra) una stratificazione di nuovi materiali a quelli precedenti.
La grande mostra occupa l’arioso Podium dove sono esposti la maggior parte delle opere, e dove il visitatore può procedere liberamente, zigzagando senza particolari gerarchie cronologiche o tematiche, e la Cisterna, dove appare quello che senza dubbio è il pezzo di maggior effetto di Recycling Beauty: l’impressionante ricostruzione del Colosso di Costantino, i cui frammenti originali sono da secoli custoditi nel cortile del Palazzo dei Conservatori in Campidoglio. Testa, dito, piede, a altri porzioni qui presentati per la prima volta non in una ricostruzione virtuale ma in una vera e propria scultura a tutto tondo, realizzata da Adam Lowe di Factum Foundation. La statua colossale si può ammirare da più punti di vista e come tutto ciò che è ipertrofico desta meraviglia, ma genera anche una sensazione vagamente straniante nel vedere il corpo titanico dell’imperatore romano seduto su un trono di lamiera, in un ex-edificio industriale della ex-periferia di Milano.
Prima di giungere ai piedi della statua, una serie di immagini d’archivio riprodotte sulle pareti mostrano i frammenti del colosso in varie epoche, tra questi, c’è il famoso disegno a sanguigna di Johann Heinrich Füssli intitolato La disperazione dell'artista di fronte alla grandezza delle rovine antiche, che l’artista svizzero eseguì attorno al 1779 ispirato proprio quei reperti; forse gli artisti e gli architetti hanno oggi definitivamente superato quel sentimento di inadeguatezza verso il passato, riciclando, decontestualizzando e appropriandosi di ciò che di esso è rimasto.
Dal 17 novembre 2022 al 27 febbraio 2023