Letter From: Flores i Prats Architects
Lettera da Ricardo Flores ed Eva Prats, fondatori dello studio di architettura nato a Barcellona, in Spagna, nel 1998
Abbiamo iniziato a lavorare a Barcellona quando il centro storico era in fase di ristrutturazione. Avevamo amici che vivevano in bellissimi edifici che stavano per essere demoliti, il che ci allertò del fatto che non avremmo tramandato ai posteri questi bellissimi pezzi di architettura. Rimanemmo molto scioccati nel renderci conto che degli architetti fossero responsabili di questa perdita e non ne riconoscessero il valore di patrimonio culturale. In quanto giovani architetti, questo ebbe un grande impatto su di noi creando un incentivo a partecipare ad alcuni dei concorsi per le città vecchie di Barcellona o Vilanova i la Geltrú. Ci sentivamo più inclini a lavorare con ciò che si poteva perdere.
Per noi, questa è stata l’occasione per lavorare sul patrimonio ereditato dalle generazioni precedenti, pensando ad esso non come un peso, piuttosto come una disciplina di lavoro con l’esistente, che ci permette di unire insieme gli sforzi precedenti. Il valore che viene dato a un edificio in ogni diverso momento della storia riflette la società che lo sta guardando. Gli edifici contengono una realtà fisica e una sociale. Non sono solo le persone a contenere la memoria di un quartiere; anche gli edifici sono carichi di ricordi degli usi e delle vite che li occupano: il tessuto costruito è il riflesso di un comportamento sociale. Parla di un modo di usare il terreno, il cielo, di un modo di abitare… Leggere la memoria contenuta negli edifici e nelle persone significa pensare a un futuro che conta su quel passato.
C’è una grande quantità di costruzioni realizzate negli anni Settanta e Ottanta che è già obsoleta in termini di programmi, ma forte per quanto riguarda i materiali da costruzione e strutture, e troviamo estremamente importante non optare per la loro demolizione, a causa dell’enorme impatto sull’ambiente che ciò implicherebbe, ma invece pensare alla sfida che significa riutilizzare e rioccupare queste strutture con nuovi programmi contemporanei.
Il nostro obiettivo è lavorare a questi edifici senza distruggerne le qualità. Ma la nostra resistenza ha una componente umanistica. Forse il mondo non si sta muovendo in questa direzione, ma questa affinità tra esperienze di epoche e generazioni diverse esiste: anche se non molti la praticano non siamo soli. Ad esempio, progetti come il Neues Museum di Berlino riabilitato da David Chipperfield o il Palais de Tokyo a Parigi ristrutturato da Lacaton/Vassal ci sono di supporto e di accompagnamento. Le nuove costruzioni rappresentano il 40% delle emissioni di CO₂, una percentuale significativa. Ma non è l’unico motivo, è importante anche recuperare il patrimonio culturale e umano delle persone che hanno abitato un vecchio edificio, perché ogni edificio racchiude una lunga storia.
È affascinante scoprire come si possano sviluppare nuovi programmi in edifici ricchi di memoria, riutilizzando risorse già costruite. Potremmo riassumere il nostro atteggiamento con i cinque temi che abbiamo portato alla Biennale di Architettura di Venezia 2023. La prima è disegnare con il tempo, trasformando ciò che già esiste. Il secondo è il diritto di ereditare dal passato e la sfida di pensare a come migliorarne le qualità durante la riabilitazione. La terza è la condizione aperta della rovina, che accetta nuove trasformazioni e occupazioni. Il quarto è il valore d’uso, gli elementi che si trovano all’interno di un edificio e come riutilizzarli. La quinta è l’attenzione al patrimonio emozionale, ai valori immateriali che permeano un vecchio edificio.
Per noi il futuro dell’architettura è il riutilizzo di tutto ciò che ereditiamo, iniziando con l’evitare la demolizione e valorizzando invece tutto quello che è giunto fino a noi e portandolo nel futuro, adattandolo a nuovi programmi e modi di vivere. È fondamentale oggi riuscire a recuperare la memoria inglobata nei luoghi e negli edifici e che ci permette di creare continuità con la storia del luogo, mantenendo attive le reti di relazioni sociali, affettive e personali costruite nel tempo. Certamente, ciò che comunemente manca nel settore oggi è probabilmente la resilienza, che è la mentalità dei designer, per adattarsi a così tanti diversi sistemi comportamentali per ogni luogo e persona. Il mondo industriale si adatta più lentamente a questi cambiamenti, non tiene il passo con la velocità delle menti dei progettisti, sicuramente a causa delle inerzie create nel tempo e che sono difficili da modificare con rapidità.