Matteo Guarnaccia: “Ascoltare vuol dire sviluppare empatia”
Dal crossing culturale al deep listening: il futuro del designer italiano in quattro mosse vincenti. Very industrial
Era il 2020. E Matteo Guarnaccia, classe 1993, a Base Milano, presenta 'Cross Cultural Chairs. 8 chairs from 8 countries: diversifying modern seating’. Sarà per via della mobilità ridotta imposta dal Covid o per via delle sedie, da sempre considerate il battesimo del fuoco per un designer che vuole definirsi tale, ma la mostra andata in scena in occasione del fuori-Supersalone riscuote un successo mediatico energico, talmente virale da costringere l’autore, a distanza di due anni, a prenderne le dovute distanze.
“Le otto sedie oggi sono finalmente entrate a far parte della collezione permanente del Centraal Museum di Utrecht”, racconta Matteo tradito da un sospiro di sollievo. ‘Sicilian designer based in Europe’, ha attraversato in lungo e in largo il vecchio continente e raggiunto Los Angeles, dove è fuggito a sedici anni: oggi, in Spagna, si crogiola nel ricordo della sua Catania, dove spera di tornare a breve. Improvvisamente la nostalgia è squarciata da un flashback su Milano: “quando Ikea, a evento concluso, mi contatta e mi chiama ‘il ragazzo’ delle sedie, mi sono detto: ‘non ci siamo’. Nel senso: qualcosa non sta funzionando a livello di comunicazione”. Perché il designer italiano, un diploma allo Ied di Barcellona e una cattedra in Graphic Design, ha un CV che procede per carotaggi sofisticatissimi nel mondo della ricerca. Ed è comprensibile che il campo di indagine definito dal perimetro di una seduta, gli andasse un po’ stretto.
Comunque è innegabile che quella mostra in Tortona ha scosso il punto di vista sulla disciplina del progetto, preparandola al dibattito di quelle che oggi sono riflessioni ampiamente condivise da giovani e mono giovani: dal climate change, al post colonialismo, dal femminismo alle pratiche non estrattive. Eccole le urgenze del contemporaneo sollevate da Guarnaccia (delle quali le sedie sono testimoni). “Sono otto, una per ogni Paese: un grand tour che è partito dal Brasile ha attraversato Messico, Giappone, Indonesia, Cina, India, Russia per arrivare in Nigeria. Ogni esemplare è realizzato in collaborazione con uno studio locale con il quale ho mappato gli accenti culturali: ogni esemplare è un’istantanea che racconta di colonizzazione e capitalismo, di artigianato e politica, di posture, materiali e processi produttivi”, un mappamondo di segni replicabili.
L’aspetto divertente e universale al tempo stesso, “è stato realizzare quanto questo oggetto di arredo imprescindibile per la dimensione dell’abitare di un uomo-bianco-eterosessuale sia del tutto secondario ad altre latitudini del Pianeta”. Ed è su questo tipo di consapevolezza che si fonda la pratica di Guarnaccia: “Di quali relazioni con lo spazio e gli oggetti ha bisogno l’uomo?”. Un interrogativo che attraversa discipline e campi di progetto apparentemente lontani, sempre alla ricerca di una risposta che non è mai identitaria, ma frutto di un gioco di contaminazioni che ci restituisce con un’idea rotonda, la caleidoscopica complessità dell’oggi.
Osservare è la prima mossa. “In Olanda, la metà delle persone invitate agli opening nel mondo dell’arte del design porta le Salomon, scarpe-da-trekking. E in Olanda non ci sono neppure le montagne”, verrebbe da sorridere ripensando anche a certi vernissage milanesi. “Ma al netto dell’ironia, l’outfit tradisce l’intenzione di avvicinarsi alla natura, pur rimanendo in città”, da qui l’idea di fondare il ‘Radical Outdoor Club’ e invitare le persone a esplorare davvero montagna e a vivere l’ecologia in maniera attiva. “La nostra generazione è attraversata da un forte senso di insicurezza: pur essendo attratti dal mondo naturale, abbiamo difficoltà ad avvicinarlo, conoscerlo, progettarlo in maniera strutturale”. Certo, l’esempio della pratica maturata dai Formafantasma è un faro illuminante, ma non è sufficiente, “e le università non hanno ancora maturato un percorso formativo in grado di sistematizzare l’oggi. I pezzi selezionati in ‘The New Collective Landscape’, la mostra sul nuovo corso del design italiano, sono l’istantanea di una creatività che si nutre del craft per accarezzare il collectable. Ma non si innesta nel mondo produttivo dei grandi numeri”, e Matteo Guarnaccia, come molti dei suoi colleghi coetanei, pur volendo avvicinare la dimensione industrial del design del prodotto, ne è intimidito.
Costruire dialoghi è la secondo mossa. Insieme a Francesco Tagliavia, Michele Galluzzo, Noemi Biasetton, Ilaria Palmeri, un gruppo di amici ricercatori, artisti e designer, Guarnaccia affronta la fragilità a modo suo: ha attraversato la mostra dell’ADI per mappare gli affondi nel mondo della natura e capire cosa e come raccordarli alla dimensione del ‘product’. “L’intenzione è restituirli al pubblico in occasione del prossimo Salone del Mobile ad aprire la discussione”.
Allenare l’ascolto è la terza mossa. “Come insegna la compositrice Pauline Oliveros, il segreto sta tutto nel ‘Deep Listening’ — pratica cha ha guidato anche la costruzione di ‘The Listening Affect,’ il festival, organizzato a Porto insieme al collettivo Institute for Postnatural Studies: si tratta di una pratica in grado di trasformare radicalmente il nostro approccio a tutti i fenomeni acustici, di farci immaginare un nuovo significato per gli spazi che abitiamo, e consegnarci un rapporto inedito con la materia vibratile che ci circonda. L’ascolto come strumento di relazione tra l’uomo, le altre specie, l’intorno”, ancora un esempio crossing del quale l’industrial design ha un estremo bisogno. “Ascoltare vuol dire sviluppare empatia”, chiude Matteo Guarnaccia, “e l’empatia è necessaria per abitare meglio, in armonia con l’ambiente”. La quarta mossa? L’approdo nel Made in Italy.