Mattia Vacca: report dai limiti
Nelle serie del fotografo comasco, una sensibilità particolare per gli attimi di sospensione in cui la relazione tra uomo e contesto trova l'assurdo oppure un'intensità più umana.
Le fotografie di Mattia Vacca possiedono una piena autosufficienza estetica, sono belle prese singolarmente, ma si leggono e significano in serie. La tensione al reportage, al racconto di una situazione e un territorio specifici - per esempio i reparti militari lituani nell'enclave di Kaliningrad che aspettano i russi come fossero barbari di Buzzati; il conflitto a intensità variabile del Nagorno-Karabakh; uno degli ultimi carnevali rituali dell'arco alpino, a Schignano; cavalieri tra i monti della Barbagia - hanno in comune la liminalità, la posizione ai margini della storia, della geografia o della cronaca, la minaccia di scomparsa.
E se dovessimo individuare caratteri formali ricorrenti tra immagini provenienti da situazioni e aree geografiche disparate, li troveremmo in tanti sguardi in camera o in tralice (incuriositi, interrogativi, minacciosi) che fanno da punctum e appaiono cifrare la poetica di Mattia Vacca come una forma di mediazione linguistica.