Plasmare il ricordo. Le ceramiche di Giorgio di Palma a Milano
Le opere dell’artista pugliese, attualmente in mostra a Milano, sfruttano la versatilità di un materiale insieme antico e moderno come la ceramica per indagare il potere evocativo degli oggetti
La torta con la panna montata, le bottiglie di aranciata, i tramezzini, le pizzette, le treccine di mozzarella, i taralli, le ciotole di popcorn e patatine, i cappellini di carta a forma di cono, le stelle filanti, le sedie e i tavoli di formica. Bastano questi dettagli per ricreare un’atmosfera molto particolare, quella delle feste di compleanno, e uno spazio-tempo ben determinato: la Puglia degli anni Ottanta.
Gli oggetti creati da Giorgio di Palma (Grottaglie, Taranto, 1981) per la mostra Festa di compleanno, tutti plasmati nella terracotta e messi in situazione sui due livelli della Meme Gallery di Milano, sono altrettante madeleine proustiane, potenti attivatori di ricordi che vanno ad attingere alla memoria personale e collettiva.
Al primo piano sembrano mancare soltanto gli invitati, mentre nel seminterrato il set up riproduce l’ambiente di un garage o di una cantina, con un tavolo da lavoro completo di attrezzi e una serie di utensili e prodotti di consumo appoggiati alla rinfusa su scaffali di metallo.
“L’idea è nata un paio di anni fa, quando i ragazzi del collettivo Pigment di Bari mi hanno chiesto di collaborare con loro su un progetto da esporre al Museo Pino Pascali di Polignano a Mare”, racconta il maestro ceramista. “Eravamo da poco usciti dal lockdown e ci stavamo affacciando a una nuova realtà, in cui non sapevamo se gesti che prima del Covid risultavano banali, come abbracciare qualcuno per fargli gli auguri o soffiare sulle candeline, sarebbero stati ancora possibili. Per questo, ho pensato di tornare all’infanzia, un tema ricorrente nel mio lavoro, e alle feste che organizzavamo con amici e parenti in locali presi in affitto o addirittura nei box auto”.
Il lavoro sul packaging è stato come sempre molto accurato. “Gli oggetti si ricollegano tutti a quel periodo, anche per quanto riguarda la loro estetica: la bottiglia di Fanta è fatta in un certo modo, le patatine e gli snack hanno un involucro ben preciso”, spiega ancora di Palma. “Una cosa che ricordo di quegli anni, per esempio, sono i rivestimenti in perlinato di plastica, e mi sono impegnato per riproporre quella situazione al museo Pascali e in altri spazi come la Meme Gallery, che oltretutto è molto sensibile alla pugliesità (la galleria, fondata nel 2019, è un’estensione del Frutteto Garibaldi, bottega storica milanese dalle origini chiaramente pugliesi, ndr)”. A Polignano, inoltre, l’artista ha intrapreso una sorta di scavo nella memoria dei cittadini chiedendo loro di inviare degli scatti d’epoca, foto-ricordo di compleanni passati, che sono stati inseriti nel catalogo, alternati alle immagini della mostra, in un cortocircuito tra passato e presente.
Giorgio di Palma ha coniato, per le sue creazioni, la definizione di “ceramiche di cui non c’era bisogno”. Si tratta, come nel caso dei pezzi esposti a Milano, di riproduzioni iperrealistiche e in dimensioni reali di oggetti di uso quotidiano, che non hanno una funzione se non quella di trasportarci altrove. Sono, se vogliamo dirlo in termini semiotici, dei significanti che rimandano ad altro, a concetti o archetipi radicati nella mente di ognuno di noi, suscitando la sensazione dolceamara della nostalgia. Un “gioco di prestigio” che riesce anche a molti oggetti di design del passato, come testimoniano il successo del modernariato e di progetti come la piattaforma Fattobene, una sorta di atlante della cultura materiale italiana in cui trovano spazio, tra le tante icone d’antan, la bottiglietta della cedrata Tassoni e il contenitore bianco e blu delle amarene Fabbri.
La scelta di utilizzare la ceramica, un materiale dalla tradizione nobile che si presta a diverse lavorazioni, e che proprio per la sua versatilità è stato spesso usato in chiave contemporanea da artisti e designer (ricordiamo per esempio il lavoro di Gio Ponti come direttore artistico della Richard Ginori, i vasi antropomorfi di Ico e Luisa Parisi, le oltre duemila opere di Ugo La Pietra, il sodalizio tra Ettore Sottsass e Bitossi, o ancora, più vicini a noi, gli animali fantastici firmati da Elena Salmistraro…), deriva essenzialmente da un dato biografico. Grottaglie è, infatti, una delle “Città delle ceramiche” italiane e ospita un distretto artigianale attivo fin dal Medioevo.
“La ceramica grottagliese nasce come ceramica funzionale”, chiarisce di Palma. “Le forme tipiche sono quelle dei capasoni, delle anfore tradizionali, e più in generale di contenitori. Quando sono arrivati materiali come la latta o la plastica è cominciato un lento declino. Io ho deciso di contrastarlo facendo in ceramica cose che di solito venivano realizzate con materiali diversi, e togliendo loro la funzione che era tipica della produzione di Grottaglie. Sono oggetti che richiamano un’estetica particolare, lontana dal minimalismo che oggi va per la maggiore. Se dovessi rifare un televisore sceglierei senz’altro un Brionvega degli anni Settanta o Ottanta e non uno schermo piatto”.