Produrre meno, ma meglio. In dialogo con Lisa White
Lisa White è direttrice creativa lifestyle & interiors presso WGSN, agenzia famosa in tutto il mondo per le previsioni di tendenza. In questa intervista ci racconta i trend che vedremo nel prossimo futuro tra design, arredamento, abitare e outdoor
Lisa White è una future thinker nata. Presso WGSN è responsabile dei forecast su innovazioni future, macro-trend e sviluppo prodotti.
La prima cosa che possiamo fare è produrre meno, ma meglio. Idealmente non dovremmo mirare al “net zero”, ma a raggiungere un bilancio positivo: nel produrre un oggetto, dovremmo restituire al mondo naturale e alle comunità più risorse di quelle che consumiamo. Questo significa che oggi è più importante progettare sistemi che progettare cose.
La combinazione di attivismo climatico e rinnovato interesse per la vita all’aria aperta sta portando i consumatori a dare maggiore importanza all’ambiente e al contatto con la natura: questi consumatori tenderanno ad addossare sui designer sempre più responsabilità. Non a caso, molti architetti e designer oggi firmano nuove esperienze nate nel segno della biofilia, caratterizzate da materiali biologici e grandi spazi verdi, per mettere la natura al centro.
La qualità dell’arredamento da esterno, prodotto con materiali nobili che invecchiano bene o si riciclano facilmente, ha ormai quasi raggiunto quella dei corrispettivi da interno. La gente vuole salotti all’aperto con divani, tappeti, scrivanie, grandi tavoli e cucine: vogliono poter fare tutto ciò che fanno dentro, ma fuori. Lo spazio esterno – anche se limitato a un balcone, un terrazzo o una veranda – ormai è visto come estensione della casa. Ma assistiamo anche a un’evoluzione del concetto stesso di casa, ispirata a una maggiore dimestichezza con la natura. Al momento tendiamo a rivolgere l’arredamento da esterno verso noi stessi: ad esempio disponendo le sedie intorno a un tavolo così che le persone si possano guardare in faccia. Ma i consumatori stanno maturando una crescente confidenza con la vita a contatto con il verde, e credo che in futuro le persone sposteranno il centro dell’attenzione verso l’esterno, rivolgendolo all’ambiente. Nei parchi e negli spazi pubblici, ad esempio, oggi le panchine sono sempre disposte lungo i sentieri in modo che le persone possano osservare chi passa: credo che dovrebbero invece guardare gli alberi e i panorami, per aiutare tutti noi a trovare una migliore connessione con la natura.
Gli arredi da esterno stanno diventando anche più sostenibili: il brand norvegese Vestre ha progettato alcune panche particolarmente interessanti perché, oltre a essere utili alle persone, offrono un habitat anche per animali e insetti.
La cosa interessante per il futuro degli interni è che diventeranno più vivaci che mai: avremo spazi living che vivono davvero. Abbiamo sentito l’esigenza di interni più flessibili durante la pandemia, quando la stessa stanza doveva trasformarsi da salotto in ufficio o in aula. Gli interni si evolveranno per valorizzare gli arredi progettati per cambiare secondo le esigenze delle persone: penso a sistemi di illuminazione che si adattano all’ora del giorno o alla stagione, pannelli che si possono spostare per modificare il layout e creare zone e alcove dedicate a diverse attività per i diversi membri di una famiglia o per gli utenti di uno spazio pubblico.
In tutto questo, avrà un ruolo fondamentale l’inclusività: gli spazi dovranno sapersi adattare a ogni forma di abilità. E sarà importante usare il design per eliminare ogni stigma: gli interni di maggior successo saranno pensati così bene che la loro adattabilità sarà quasi invisibile, grazie a ingressi ampi, banconi regolabili, e ganci e prese facili da raggiungere, sempre nel rispetto del gusto estetico.
Riprendendo il discorso di prima, si tratta di progettare sistemi che permettano sia alle grandi aziende sia ai singoli consumatori di avvicinarsi alla natura in modo più semplice. Poi bisogna lasciare che le cose vadano da sole. Spesso si pensa che il design sia un modo per controllare quello che accade, ma il suo ruolo in realtà è progettare sistemi che permettano alla natura di fare il suo corso, e che siano il più low-tech possibile.
Coltivare il proprio cibo e utilizzare i rifiuti per ottenere un migliore raccolto ci insegna cosa sono i sistemi circolari e ci aiuta a comprendere meglio il contesto più ampio in cui viviamo. Qualsiasi cosa possano fare designer e architetti per facilitare questo tipo di risultato, con la minor quantità di “prodotto” possibile, è utile.
L’interdipendenza. Le piante “sanno” di non poter esistere senza gli altri: altre piante, animali, insetti impollinatori. Le persone sembrano aver dimenticato questa fondamentale forma di intelligenza: serve un pensiero multi-specie, in cui gli esseri umani sono parte integrante di un ecosistema e non al suo vertice. In natura la vita è circolare, non segue un modello piramidale. Un approccio collettivistico sarà decisivo nell’affrontare le esigenze complesse e interconnesse delle persone e del pianeta. Questo significa progettare non per gli altri ma con gli altri, e non usando la natura ma con la natura.
In tutto il mondo il landscape design si sta spostando sempre di più verso la vegetazione autoctona, invece dell’utilizzo di prati e piante che richiedono quantità di acqua eccessive. Ovviamente Derek Jarman, con il suo semplice giardino tra gli inospitali ciottoli di Dungeness, è stato tra i primi e più influenti promotori di questo trend, che oggi vediamo evolversi sempre più nel segno del trionfo della natura selvatica: ad esempio si può trasformare un prato in radura, tagliando l’erba solo lungo un sentiero e lasciando che per il resto la natura prenda il sopravvento. Al momento i landscape designer che ammiro di più sono quelli di Afforest, in India. Hanno portato avanti un metodo originariamente sviluppato dal botanico giapponese Akira Miyawaki, specializzandosi nel creare foreste native su piccoli appezzamenti ovunque nel mondo. Entro tre anni dalla piantumazione una zona spoglia in piena città o in periferia può trasformarsi in una foresta impenetrabile che accoglie piante e animali selvatici: questo aumenta la biodiversità del bioma locale e contribuisce a ridurre le temperature nei contesti urbani.
È interessante vedere gli esperimenti di rewilding condotti nelle città più grandi al mondo. Il fossato che circonda la Torre di Londra è stato trasformato in un mare di fiori selvatici, con un marciapiede che permette di visitarlo. Daisy Ginsburg ha piantato un giardino dedicato agli insetti impollinatori, che ha chiamato Pollinator Pathmaker, sia presso la Serpentine Gallery sia all’Eden Project. Il concept è estremamente articolato, ma si può riassumere con la semplice domanda che pone Ginsburg: “Cosa vedrebbero le persone, se fossero le api a progettare i nostri giardini?” A Parigi stanno lasciando incolti gli spazi intorno agli alberi della città, in una sorta di celebrazione incontrollata di fiori ed erbe...
Attualmente i miei preferiti sono le case stampate in 3D usando terreno e argilla locale: praticamente si creano soluzioni abitative in situ senza bisogno di utilizzare cemento, acciaio o legname. Un gruppo di designer in Israele ha appena lanciato il progetto To Grow a Building, che include nel processo anche dei semi in modo che gli edifici possano germogliare di vita. In futuro, le nostre case potrebbero davvero essere dei giardini.