Rogier van der Heide, il pioniere del lighting design

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Rogier van der Heide, lighting designer - Ph. Erik Hijweege

Il designer olandese ha fatto del progetto della luce un territorio da ripensare dalle fondamenta. Superando un approccio strettamente illuminotecnico per generare esperienze olistiche: dove il fine non è l’alta tecnologia – che pure c’è – ma lo stupore

Rogier van der Heide può cambiare la percezione dello spazio nella maniera più immateriale possibile: giocando con la luce. Conosciuto come uno dei massimi sperimentatori nel campo del lighting design, il designer olandese arriva là dove il lavoro di molti architetti si ferma, ossia la resa di un’esperienza sensibile attraverso cromie, riflessi, ombre. Con progetti sartoriali, dispensati in trent’anni di carriera per clienti eterogenei ma sempre di primissimo piano – si pensi ad Apple, BBC, o lo Stedelijk Museum - il suo lavoro ha permesso di plasmare l’identità di moltissimi luoghi con un occhio di riguardo al benessere psicofisico e all’apporto emozionale. Nei giorni di Salone del Mobile.Milano, i visitatori della fiera avranno l’opportunità di incontrarlo dal vivo in occasione di The Euroluce International Lighting Forum durante la Tavola Rotonda Light for Life, in programma per il 10 aprile alle 14.00, alla quale parteciperà con Nicholas Belfield, Piero Benvenuti, Shelley James e Manuel Spitschan. Per avere qualche preziosa anticipazione sul suo lavoro, abbiamo avuto l’opportunità di rivolgergli qualche domanda. 

Come si fa a raccontare una storia attraverso la luce? C’è un preciso alfabeto, o un linguaggio, che hai creato o a cui fai riferimento?

La luce non è semplicemente un elemento dell’architettura, ma un mezzo fondamentale dell’esperienza. Non crea narrazioni illustrando una storia, bensì modellando il modo in cui le persone si muovono in uno spazio, ne percepiscono le dimensioni e interagiscono con le sue superfici. Non utilizzo un “alfabeto” o un “vocabolario” predefinito. Piuttosto, lavoro con i materiali, l’interazione della luce con le superfici e le qualità della luce naturale del sole e del cielo per creare esperienze immersive. Il mio approccio si basa più sulla scoperta che sul calcolo. La luce esiste solo quando incontra qualcosa, perciò esploro materiali come il vetro, i rivestimenti e le texture per modellare la percezione della luce. Molti light designer cercano di “esaltare” l’architettura, ma io vedo la luce come qualcosa che crea lo spazio, non solo lo rivela. Il mio approccio consiste nel ripensare il modo in cui viviamo la luce, piuttosto che limitarci a posizionare i corpi illuminanti. L’esperienza della luce è così importante, eppure non viene insegnata nelle università o nelle accademie. È per questo che insegnerò un corso di 10 giorni a luglio a Napoli, simile a una masterclass, per offrire ai giovani lighting designer un impulso per la carriera. Una volta integrata l’esperienza della luce nel proprio approccio, si aggiunge valore agli spazi e unicità. In un momento in cui chiunque può usare il computer per creare uno schema illuminotecnico “corretto”, la capacità di creare un’esperienza profonda è ciò che fa la differenza. 

Il tuo rapporto alla luce è olistico. Come hai sviluppato questa sensibilità per una luce che sembra riflettere attraverso un prisma particolarmente espanso?

Non ho iniziato con la luce! Ho iniziato con lo spazio, i materiali e il modo in cui le persone abitano i luoghi. Il mio approccio è guidato dalla curiosità: come la luce rivela l’anima di uno spazio? Come cambia con il tempo, le stagioni e l’interazione con i materiali? La luce naturale svolge un ruolo cruciale nel mio lavoro. I lighting designer si concentrano sulla luce artificiale, ma credo che la fonte più potente e sostenibile sia il sole stesso. La luce naturale è dinamica, emotiva e reattiva. Il mio obiettivo è plasmarla, creare esperienze in cui architettura e luce siano completamente integrate. Il mio lavoro è arricchito anche dall’insegnamento e dallo scambio di conoscenze. L’ho sempre fatto! Coinvolgere giovani professionisti e architetti affermati mantiene la mia prospettiva in evoluzione, anche dopo 35 anni di professione. È per questo che investo nella creazione di nuovi modi di esplorare la luce attraverso l’educazione, colmando il divario tra visione artistica e comprensione scientifica. 

Hai lavorato con istituzioni museali e con aziende private in ambiti eterogenei, dall’architettura, agli interni, ad interventi paesaggistici. Quali sono le qualità dei tuoi clienti che rendono un progetto speciale, innovativo ed emozionante? C’è un progetto particolarmente ambizioso a cui ti piace fare riferimento?

Lavoro per qualsiasi cliente, ovviamente. I migliori clienti, tuttavia, non chiedono un “progetto illuminotecnico”; chiedono un’esperienza. Vedono la luce come qualcosa che trasforma uno spazio, modella emozioni e interagisce con la cultura. Mi piacciono i progetti che spingono i confini. Prendiamo ad esempio il “Boeing Sky”. Non si trattava solo di rendere l’interno di un aereo più spazioso, ma di usare la luce per contrastare il jet lag, supportare i ritmi circadiani e migliorare il benessere di passeggeri ed equipaggio. È un progetto in cui l’illuminazione ha avuto un impatto fisiologico misurabile. Allo stesso modo, il mio lavoro per il progetto Mars500 dell’ESA non riguardava l’estetica. Si trattava di permettere a un team di scienziati e ingegneri di progettare un rover marziano che funzionasse bene nelle condizioni di luce di Marte, compreso il percorso del sole, le condizioni atmosferiche diurne e i riflessi del paesaggio. Il mio lavoro per Apple e per la BBC è architettonico, ma caratterizzato dall’integrazione tra luce e materiali. La facciata in vetro della Broadcasting House interagisce sia con la luce naturale che con quella artificiale, e i soffitti tesi di Apple includono un approccio unico alla traslucenza. È affascinante e un privilegio lavorare su progetti del genere. Questi tipi di progetti, in cui la luce è più che semplice illuminazione, sono quelli che mi entusiasmano. Sfidano il pensiero convenzionale, ed è lì che avviene l’innovazione reale. 

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Apple Westlake - Ph. Nigel Young

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BBC Broadcasting House - Ph. Daniel Coyle

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Louis Vuitton Shanghai

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Masterclass by Rogier van der Heide - Ph.  Kohler

Il mondo della illuminotecnica è in costante mutazione. Quali sono le frontiere più interessanti che stanno cambiando il nostro modo di fare luce?

Uno dei cambiamenti più significativi è l’abbandono dell’artificialità a favore di un coinvolgimento più profondo con la luce naturale. Per troppo tempo, il lighting design si è concentrato sulle soluzioni elettriche. La fonte di luce più potente e sostenibile è il sole, e siamo solo all’inizio di comprenderne appieno il potenziale nel design. Vedo il futuro dell’illuminazione profondamente legato alla scienza dei materiali e all’ottica. Invece di aggiungere semplicemente luci, cosa succederebbe se integrassimo la luce direttamente nei materiali—vetro, pietra, metallo e tessuti che diffondono, riflettono o amplificano naturalmente la luce? Non si tratta solo di efficienza; è una questione di ripensare il modo in cui progettiamo l’architettura stessa. Gli edifici potrebbero essere concepiti con la luce in mente fin dall’inizio, non con corpi illuminanti e controlli, ma come parte fondamentale dei materiali e della logica spaziale. Per architetti e sviluppatori, questa è un’opportunità incredibile: come possiamo creare edifici in cui la luce sia veramente parte del loro DNA? Le risposte a queste domande definiranno il futuro del design. Durante la masterclass di quest’anno esplorerò questi e altri temi con gli studenti. 

Sostieni che la luce renda il mondo migliore, e il futuro possibile. Perché, e in che modo?

Proprio come l’acqua e l’aria, la luce è un elemento fondamentale della vita. Inoltre, modella le nostre emozioni, il nostro benessere e il nostro senso del luogo. Uno spazio ben progettato, in cui la luce interagisce naturalmente con i materiali, segue il ritmo del giorno e risponde alla presenza umana, crea un ambiente che supporta sia la funzionalità che il sentimento. Nel mio atelier, la luce non si riduce a numeri, standard e calcoli. Perché la luce non è solo una questione tecnica; nel mio lavoro è una forza culturale. Influenza il modo in cui viviamo, lavoriamo e ci relazioniamo con ciò che ci circonda. Il futuro dell’illuminazione non riguarda solo l’efficienza energetica. Riguarda la creazione di spazi in cui le persone prosperano, in cui l’architettura trascende la funzione e in cui la luce favorisce una connessione più profonda con il mondo intorno a noi. Questo è il tipo di lavoro che voglio continuare a esplorare, sia attraverso progetti, ricerca o educazione. 

21 marzo 2025
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